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dal 12/1/2008


© G.S.Chilometrando
Camino Austral in mtb dicembre 2003

 

Ciao Ivana, ti invio le relazioni dei due viaggi in Patagonia, per quello in Bolivia ed Ecuador dovrai attendere a fine anno……Buone uscite. Enzo

Ciao Enzo, amico ventennale di pedalate insieme, grazie infinite per l'invio dei racconti. La tua esperienza diventa anche nostra.

leggi il racconto "Fin del mondo"Cronaca di un viaggio in bici in Patagonia

 

 

Carretera austral “Augusto Pinochet”

di Enzo Pascalis

Novembre-dicembre 2003
La carretera austral o camino de penetracion, fu fatto costruire dall’ex dittatore alla fine degli anni settanta e terminata, nel tratto più a sud, solo da pochi anni. Questa sterrata in pratica collega P.to Montt con Villa O’Higgins attraversando una delle zone più disabitate del sud Cileno. La prima parte può essere percorsa in modo discontinuo a causa di alcuni trasbordi su lance per l’attraversamento di fiordi e tratti di mare nella zona del Parco Nazionale Alerce Andino. Si giunge sino a Chaiten da dove occorre percorrere 420 chilometri prima di raggiungere Coyaique, il più grosso centro della regione e sede amministrativa. In questo tratto di carretera s’incontrano solo alcuni villaggi dalla storia molto recente, abitati dai primi pionieri la cui economia si base essenzialmente sull’allevamento e sul commercio di legnami. Solo nei piccolissimi villaggi sul pacifico esiste una trascurabile attività di pesca. In questo tratto si attraversa il Parco Nazionale di Queulat e le terme di Puerto Puyuguapy note per la talassoterapia. Nel tratto della Carretera sud, da Coyaique a Villa O’Higgins, si aggira il grande Lago General Carrera (Lago Buenos Aires la parte argentina), secondo lago del sudamerica dopo il Titicaca, alimentato dai grandi fiumi e collegato col mare dal famoso Rio Backer, meta di numerosi appassionati pescatori d’acqua dolce. Più a sud solo grandi foreste e lagune, delimitate ad ovest dallo Hielo Norte e dal “Cerro san Valentin che con i suoi 4058 metri è il più alto della Patagonia. Il Camino Austral termina sulla parte nord del lago O’Higgins/San Martin, grande e tempestoso che nel suo lato orientale segna il confine con l’Argentina. Ad ovest gli alti contrafforti del Fitz Roy e dello Hielo Continental Sur impediscono qualsiasi collegamento terrestre con l’Oceano Pacifico. A causa di ciò gli abitanti della parte settentrionale del Cile patagonico per raggiungere via terra la parte sud e i suoi grossi centri abitati di P.to Natales e P.ta Arenas, sono costretti a passare dall’Argentina.

La Patagonia ormai mi ha segnato per sempre, è la quinta volta che volo in sudamerica e la terza nel profondo sud sino alla terra del fuoco. Quello che mi affascina di questo lontano paese sono le grandi distese disabitate, la natura incontaminata e una solitudine che non ti fa sentire solo. Sin da bambino ho sognato e vagabondato, ho imparato che gli orizzonti lontani si raggiungono e si superano per raggiungerne altri e poi altri ancora.
Il mezzo di trasporto è sempre lo stesso, la bicicletta. Non occorre essere dei superman o superallenati, è sufficiente solo un buon allenamento, passione e voglia di vivere accettando fatica e disagi, tutto è ben pagato. Questa volta non parto da solo, ho buona compagnia, Sergio e Daniele. Per loro è la prima esperienza di questo tipo ma hanno scorza sufficiente per affrontare un percorso duro come il “camino de penetracion”, la preparazione è stata seria e “la gamba”, per usare un termine ciclistico, è allenata.
Si parte alla volta di Buenos Aires per proseguire, sempre in aereo, per San Carlos de Bariloche sul lago Huapi nella regione del Rio Negro. Siamo nel nord della Patagonia in uno dei posti più belli in assoluto, per gli argentini è una specie di Cortina. Rivivo l’emozione del mio arrivo in questa località lo scorso anno, ricordo che pioveva e davanti a me tanta strada da percorrere, ma alla fine dei quasi 2000 chilometri mi sino ritrovato ad essere più consapevole delle mie risorse e che in fondo si fa più fatica a pensare che a fare. Ho ancora il ricordo, ormai indelebile, della tanta sofferenza e della fatica nei lunghi tratti fatti controvento e sotto l’acqua, ma anche i volti delle semplici e straordinarie persone incontrate. A Bariloche questa volta facciamo sosta solo per una notte prima del trasferimento in Bus alla volta di Puerto Montt in Cile. Prima cena “argentina” a base di carne, ci concediamo anche una prelibatezza tutta sarda, con me ho portato due bottigliette di “sciroppo agricolo”, una specie di ricostituente per ogni malanno…mirto!, pesano e occorre consumarle rapidamente ma questo non è un problema. Il trasferimento in bus si svolge in uno scenario d’incomparabile bellezza, le Ande offrono istantanee mozzafiato in un’alternanza senza sosta. Arriviamo a P.to Montt, situata all’interno dell’ampio golfo de Ancud, fra l’isola di Chiloè e la Cordigliera Andina. Tipica cittadina di mare, case in legno, gente cordiale e disponibile. Il tempo di riassemblare le bici sotto la pioggia incessante e c’imbarchiamo per raggiungere il villaggio di Chaiten nella sponda opposta all’isola di Chiloè. Nell’attraversata facciamo la conoscenza di Marc Alfred Pellerin, noto scrittore francese, in viaggio per queste terre in cerca d’ispirazione per il suo prossimo capolavoro dopo il successo ottenuto con “N’oublie pas d’avoir peur”. Siamo felici di aver contribuito alla scelta del titolo, “la meseta del diablo”. Conosciamo anche due splendide ragazze israeliane, viaggiano da sole senza alcun timore, dalle loro parti sicuramente rischierebbero di più. Gli Israeliani sono dappertutto, viaggiano in gruppi molto numerosi, tutti giovanissimi ma con almeno due anni di guerra alle spalle. L’attraversata è gradevole, il mare è calmo, siamo d’altronde nel pacifico, ma ad ovest ci sono isole grandi come la Sardegna a fare da sbarramento ai forti venti antartici. Cormorani volano radenti le fredde acque in questo angolo di Pacifico, ogni tanto le foche emergono e ci guardano incuriosite, nella vicina costa già si nota la lussureggiante vegetazione, anche se ci dicono che gran parte del bellissimo parco che si intravede è stato acquistato da un miliardario americano. A Chaiten arriviamo quando ormai è notte, troviamo tante persone che ci offrono sistemazione. Seguiamo l’istinto e accettiamo la proposta di due signore che ci conducono ad una casa famiglia, molto spartana ma a mezzanotte va bene. Sergio chiede se può cucinare degli spaghetti, fuori le botteghe sono aperte sino a…quando c’è qualcuno sveglio. Compro tonno in scatola e una bottiglia di “Santa Emiliana” da offrire ai proprietari di casa. Ceniamo in compagnia delle ragazze israeliane che suscitano l’interesse dei “machos” locali i quali, molto timidi, non vanno oltre a qualche complimento in sottovoce. Il mattino dopo foto di gruppo sotto la pioggia. Un beneaugurante bacio da parte delle chicas de Israel al debutto austral mitiga il freddo e grigio mattino, si parte finalmente, il sogno si sta rendendo concreto, anche la pioggia è concreta, fredda e insistente. I primi chilometri sono su asfalto ma poi il fondo stradale si fa pessimo a causa dei lavori di bitumazione e dei numerosi massi, posti ad impedire il transito delle auto, che ci obbligano a difficili slalom. Finalmente dopo quindici chilometri inizia il mitico “ripio austral” (sterrato). Fortunatamente ero già preparato ad un simile debutto, la Patagonia non ti regala nulla, te la devi conquistare e l’acqua, il freddo e la pioggia sono elementi essenziali che caratterizzano questo paese, se non fosse così non ci sarebbe “gusto” a pedalare come asini, si poteva andare a fare una pedalata turistica a Villasimius in primavera. Più soffri per raggiungere un obiettivo e più grande è l’appagamento quando lo raggiungi. Questa volta la fatica e le sofferenze le condivido con Sergio e Daniele, anche se il detto “mal comune…non vale, quando si soffre si soffre soli. Arriviamo dopo sette ore e mezzo stravolti e infreddoliti a causa della pioggia, fredda e insistente e di una lunghissima salita spaccacosce, come l’ha definita Jovanotti nel suo racconto tratto dal “grande boh”, dove alcuni tratti in forte pendenza ci costringono a spingere a piedi. Unici tifosi sul percorso sono i compagni di viaggio conosciuti sul battello il giorno prima, ci salutano dal microbus “riscaldato” che va nella nostra direzione. Chissà cosa avrà pensato lo scrittore francese o la bella signora tedesca quando ci ha immortalato con la sua reflex dal finestrino posteriore, vedendoci fradici e stravolti dalla fatica rispondere al saluto con un “sorriso a denti stretti” perché incapaci di staccare la mano dal manubrio. Si svalica tra le nuvole sotto una fredda e fastidiosa pioggerellina, ci copriamo bene prima della lunghissima discesa ripida e difficile a causa del carrello che spinge e delle mani congelate che non riescono a tirare i freni. Consumiamo le ultime energie rimaste prima si fermarci nel primo villaggio di questo sogno austral, Villa Santa Lucia. Non occorre cercare un posto per dormire, il villaggio finisce là dove incomincia e c’è solo un piccolo hospedaje (alloggiamento), non abbiamo scelta ma va benissimo. Siamo accolti da una simpatica "mama" che ci fa sentire a casa nostra. Ci prepara una cena a base di zuppa di mariscos e gallina ruspante. Nel villaggio non c’e’ praticamente nulla, solo una piccola “tienda” ma….senza “patente” per la vendita di vino. Ci rassegniamo ad altra acqua dopo quella presa dal cielo ma la sorte ci viene finalmente incontro, il nipotino della “mama” ha due bricchi di “gato nero tinto” nascosti per le occasioni. In sostanza vende clandestinamente il vino acquistato nel villaggio di La Junta al doppio del prezzo (2 euro l’uno), forse ha origini napoletane. Mentre maglie, pantaloncini e scarpe asciugano vicino ad una stufa a legna, riviviamo le sette ore e mezzo passate sotto l’acqua e la durezza del percorso, Sergio è preoccupato per il riacutizzarsi di una tendinite al ginocchio, dice di aver pensato anche al ritiro, conoscendolo, prima di un’arresa, si farebbe mutilare. Speriamo che domani almeno la pioggia ci risparmi. Qualcuno ci sente ed accoglie la nostra richiesta, il mattino successivo non piove.
Si parte dopo una ricca colazione, finalmente le nuvole sono alte e scoprono le creste innevate della cordigliera, il paesaggio è dolce, morbido quasi irreale. Pedaliamo rilassati, finalmente possiamo fermarci per catturare con la reflex questi angoli di paradiso senza rischiare di bagnare le attrezzature fotografiche. La carretera attraversa il Parco Nazionale Queulat, una foresta spezzata da lingue di ghiaccio, torrenti e fiumi con cascate. Questa zona è stata dichiarata riserva naturale della biosfera. Il percorso non è duro, ma tutto è relativo, ieri è stata veramente epica, oggi nonostante interminabili saliscendi ci sembra di non faticare ma ogni strappo in salita è come un muro. Il paesaggio intorno ci lascia senza respiro, unico commento unanime…”mammamia”!. Lentamente scivoliamo inghiottiti da questo eden, possiamo pedalare al centro a sinistra a destra, parcheggiare in mezzo alla carretera, tanto non passa nessuno. Siamo euforici, il carico oggi non si sente, sentiamo solo il nostro respiro e il pulsare del nostro cuore al ritmo della pedalata, vorremmo fermare il tempo per godere questo momento ma…Pirincho attende.
Giungiamo a La Junta, piccolo villaggio di 200 anime nel punto di giunzione di due sentieri, uno nostro, l’altro dal confine argentino dall’altra parte delle Ande. Sono esattamente a 100 chilometri dal punto in cui l’anno scorso fui costretto dalla neve e il vento a fare dietrofront e “farmi la pampa”, arrivo dopo un anno, ma arrivo. Villaggio fotocopia del precedente, tutto raccolto in duecentometri di lunghezza, case in legno disposte lungo la carretera, soliti cani liberi a spartirsi le “quadre”, come chiamano qui gli isolati, padroni senza padroni, non conoscono sassi, bastoni e… ciclisti, beati loro, si accoppiano senza alcun pudore davanti a tutti. Troviamo un buon alloggiamento per pochi pesos, l’accoglienza è come sempre calorosa, forse perché il nostro atteggiamento nei confronti della gente del posto è tipicamente italiano, anzi sardo e da queste parti ci sentiamo a casa nostra; quando poi arrivi con tanto di bici e carrello è il massimo apprezzamento che si possa fare alla loro terra. Troviamo il primo “Internet point”, va molto lento ma è sempre meglio dei piccioni viaggiatori. Piove tutta la notte ma ci conforta sapere che le “nostre bambine” sono al coperto dentro una legnaia, sino ad ora hanno fatto il loro dovere e senza alcun problema meccanico, ma abbiamo percorso solo 160 km e non è il caso di brindare. Il ginocchio di Sergio incomincia a preoccuparci, le dure salite e l’acqua non aiutano di certo il recupero, tentiamo di risolvere il problema con antinfiammatori e pomata, regolo anche l’altezza e l’inclinazione della sella, vedremo domani come andrà. Qualcuno di noi ha ancora energie da spendere e“taglia legna tutta la notte”, d’altronde gli alberi non mancano ed il riscaldamento è a legna.
Da la Junta ci rituffiamo verso il seno ventisquero, un lungo fiordo di acque calme e placide come una laguna dove si specchiano le dolci e verdi montagne, non c’è vento e l’atmosfera è di pace e tranquillità. Il villaggio è piccolo ma gradevole, ci concediamo una cabana di lusso e una cena a base di salmone freschissimo. Dal pacifico risaliamo all'interno attraverso uno dei posti piu’belli in assoluto che abbia mai visto, foreste sconfinate e fittissime, alberi giganteschi e fiumi impetuosi che quando si chiamano "arroyo chico" sono grandi quanto il Po....figuriamoci i vari rio grande. Si parte con rapporti agili per “scaldare bene i nostri “vecchi motori diesel”, e dare la possibilità a Sergio di collaudare il suo ginocchio. Tutto lasciava presagire ad un trasferimento dolce e senza grandi salite ma ormai non crediamo più alle informazioni ricevute sul percorso, siamo in sudamerica e si sa che da queste parti la precisione e il dettaglio sono trascurabili. Alla pregunta su “come es el ripio manana “ la risposta è sempre rassicurante,” el camino no sube y se sube es muy soave, despues baja y plana hasta la llegada”. Novanta chilometri durissimi di sterrato con fondo pessimo, una sorta d’arenile tipo “spiaggia di flumini” che non ti permette la minima distrazione…chiedere a Daniele. Salite con pendenze dolomitiche e discese lunghe e pericolose mettono a dura prova mani, freni e quasi arroventano i cerchi, alla faccia delle “subidas soaves”. Oggi non è il giorno adatto per la grande fuga, c’è tanta strada da percorrere e poi, quando non te l’aspetti, c’è sempre la sorpresa. Prima di giungere a Villa Amengual, infatti, la ciliegina sulla torta, per risparmiare lavoro ed evitare di sbancare la montagna, l’esercito di Pinochet taglia corto, in due chilometri si sale di 250 metri!. Alla fine totalizziamo ben 1500 metri di dislivello che ci fanno rimpiangere i vari giretti di “costa rey” che a confronto sono passeggiate romantiche. Quando arriviamo all’ingresso del piccolo ma ordinato villaggio, veniamo accolti da un gruppo di bambini in bicicletta, suscitiamo la loro curiosità per il carico a rimorchio e per i “reloj” sul manubrio (computerino e altimetro). Ci accompagnano festanti all’unico hospedaje del villaggio, molto ordinato e con le stradine interne cementate. Siamo veramente stanchi e abbiamo una fame da gregari alla fine di un tour, purtroppo la sorte non è dalla nostra, zuppa di sciacquatura di chissà quale intruglio e costole d’agnello da rosicchiare, fortuna che il pane abbonda. Sergio afferma che nonostante la durissima tappa, il ginocchio è stato domato, non avevamo dubbi, Pirincho è più vicino.
Da Villa Amengual altro trasferimento di 68 km sino a Villa Maiñuales, tutto sommato piacevoli a parte i primi 30 km a causa del fondo molto infido dovuto ad uno strato di terriccio sabbioso. A venti chilometri dal villaggio ci sembra di sognare, c’è asfalto, il vento ci è favorevole e le bici vanno come motorini. Arriviamo molto presto e abbiamo il tempo di farci il bucato, manutenere le bici e soprattutto prendere contatto Pirincho. L’unico modo di parlare con “el capitan” è la radio. Molto gentilmente le guardie del CONAF, (guardie forestali) ci permettono un collegamento con Pirincho, si sente malissimo, tra noi e lui ci sono montagne, ghiacciai, fiordi e…tanta fatica. La conversazione si consuma in pochi secondi: hola Pirincho me escucha?, tiene barco para il dies de dicembre? , attimi d’attesa, poi la risposta breve e lapidaria: Debo cruzar il lago il seis y el vienti. Mancano sei giorni al primo traghettameno e ci sono ancora 800 chilometri da percorrere, per essere puntuali dovremmo pedalare anche la notte. Rimandiamo la decisione il giorno dopo, occorre valutare attentamente l’alternativa.
Oggi altri 88 km (su asfalto!), molto gradevoli nella prima parte ma "cattivi e velenosi" nel tratto finale a causa di una salita spaccagambe tipo "muro delle fiandre" ma di 5 km al 12%. Ingresso trionfante tipo reduci di guerra (vinta), a Coyaique dove ci concediamo un’Hostal di lusso per ben 13 euro a testa. La citta’ è grande e possiamo telefonare, navigare su internet, cambiare i soldi e concederci un buon ristorante tipico con solo menu vegetariano….”asadi e parrillas”!
Tutto sommato la prima meta' e' stata completata alla grande nonostante qualche problema muscolare, ma Sergio no l’ha data vinta e ha lottato duramente contro una fastidiosa tendinite al ginocchio sinistro, facendo lavorare l'altra gamba e ...la testa, alla fine si e' conquistato gli onori sul campo. In questa prima parte abbiamo sempre trovato dei villaggetti molto poveri ma ordinati e forniti di tutto ciò che ci necessitava, viveri bevande e letti caldi, le tende non sono state ancora utilizzate ma verrà il momento. Purtroppo stanno incominciando i lavori per asfaltare questo mito patagonico, ma occorre tener presente che da queste parti Pinochet e' stato amato ( e lo e' ancora) per aver dato la possibilità a queste genti di uscire dall'isolamento. Raccontava la proprietaria di un hospedaje che durante il lungo e rigido inverno molte volte la carrettera e' interrotta a causa di frane, alberi che cadono o la molta neve (non ci sono gli spazzaneve) isolando totalmente dal resto del mondo i villaggi con conseguente mancato approvvigionamento di viveri e assistenza sanitaria. Ben venga l'asfalto, noi l'abbiamo percorsa sullo sterrato!
Dopo aver risentito Pirincho telefonicamente da Coyaique, per aver ulteriore conferma dei suoi programmi, prendiamo la decisione di fare in modo di essere per il 6 dicembre al lago O'Higgins, perdere l'occasione di passare per quella frontiera non mi va proprio, l'alternativa sarebbe ...desierto y viento e ho ancora fresco il ricordo dello scorso anno. Tagliamo i 100 km di asfalto da Coyaique a Villa Cerro Castillo e i successivi per Cochrane. Da Cochrane ci sono circa 250 km di duro ripio senza alcuna possibilita' di trovare da mangiare, solo alte montagne e foreste amazzoniche. Chiediamo comunque informazioni sul percorso e ci assicurano che a Puerto Yungai c'e' un "pequeño pueblo y una ciquitita tienda" (alimentari). Ci riforniamo dell'occorrente per essere autosufficienti due giorni. Il percorso e' semplicemente fantastico: foreste, laghi, cascate e picchi innevati mitigano le disumane fatiche. Dopo una sessantina di km, ormai quasi a riserva, incontriamo una persona che vive isolata dal mondo nella sua casetta di legno e ci afferma che a P.to Yungai non c'e' assolutamente nulla, solo una caserma dell'armata cilena.....mamma mia!. Ci facciamo un po di calcoli e ci rendiamo conto che ci manca l'alimentazione per un'intera giornata. Pedalare con i nostri carichi significa consumare circa 4000 kcal a giorno, poi c'e' la pioggia e il freddo che aumentano il dispendio calorico. Proseguiamo cercando di economizzare ogni energia, con occhio attento scrutiamo i lati della carretera con la speranza di trovare segni di vita. Ad un certo punto una casa abitata ci fa urlare di gioia e speranza, ma ci sono solo un cane e un gatto: quest’ultimo ci viene incontro ma forse intuisce la nostra fame e ....se la da a gambe … meglio non scherzare con tre ciclisti affamati, per giunta sardi. Avanziamo ancora qualche chilometro e finalmente una casita con il camin che fuma, ci facciamo avanti tra galline, pecore e cani diffidenti e impauriti, viene fuori una donna, cosi' almeno sembrerebbe dalla lunga coda, non dalle sembianze. Avra' massimo 45 anni, e' semplicemente orribile, sicuramente non rischia nulla. Chiediamo se ci vende qualche cosita para comer. Lei gentilmente prima scomoda una gallina intenta a covare e le toglie le uova da sotto, poi entra dentro casa (ci dice di attendere, forse c'e' l'amante) e vien fuori con una forma di formaggio di vacca, ne taglia un pezzo di due chili e ce lo offre assieme a due pezzi di pane fatto da lei. Le chiediamo quanto le dobbiamo e ci ci risponde "nada". Questa e' una lezione di vita, noi leggiamo la parabole del buon samaritano, lei che non sa né leggere né scrivere, si limita a metterla in pratica. La costringo ad accettare 5000 pesos e la salutiamo evitando di baciarla. La fortuna ci assiste ancora, poco dopo altro fumo proveniente dal bosco mi incuriosisce, mi fermo e nell’attesa di Sergio e Daniele vado ad ispezionare. C'e' un tizio che lavora, mi vede e mi viene incontro, si presenta: Luis. Sta li da solo a preparare un camping per la stagione "calda" che dovrebbe arrivare, dubito che arrivino anche i turisti. Chiediamo se possiamo piazzare le tende nel suo spazio, ci risponde che e' felice della nostra compagnia e che se vogliamo ci prepara anche la comida, solo cordero, non c'e' altro.....evviva! Cordero con patate, cordero alla plancia, papas e tanto calore. Chiacchieramo sino all'una del mattino, del nostro viaggio e del suo lavoro: viene da Santiago e ha molte speranze per la sua attività. La mattina, dispiaciuti, partiamo. Anche Luis e' dispiaciuto, siamo stati le prime persone incontrate da 20 giorni. La pioggia si fa sempre piu' insistente, ma non ci impedisce di fare molte soste per ammirare gli immancabili spettacoli della natura e scattare foto. Incomincia una lunga salita con pendenze impossibili anche per gregari in fuga, costringendoci a mettere piu' volte il piede a terra. L'esercito di Pinochet ha veramente aperto un varco incidendo profondamente la montagna. Una scritta sul costone roccioso dice: " le difficolta' esistono per essere superate". Poco piu' avanti un cartello in legno ricorda tre soldati volati giù' nel burrone con la loro camionetta. Lo scollinamento avviene dopo 650 mt di dislivello sotto la pioggia e il vento. Siamo esausti ma determinati. La discesa e' peggio della salita: profondi burroni e fondo stradale pietroso ci costringono piu' volte a scendere dalle bici, un vero e proprio "camino ripio barrancoso", se sbagli la frenata...voli giu'! Giungiamo finalmente a P.to Yungai, non c'e' nulla, solo una caserma e qualche perrito scodinzolante. Occorre attendere il battello per attraversare il fiordo del pacifico. Nell'attesa una camionetta si ferma di fronte all'imbarcadero, l'autista vedendoci stravolti con bici e carriti si incuriosisce. Solita domanda, de donde... gli spieghiamo della nostra "missione da compiere", delle fatiche e...della grande fame. Abboccato!, Tira fuori tre panini con mortadella e ce li offre, che facce toste, ma la fame supera le inibizioni e aguzza l'ingegno. Si chiama Tito Levican Mancilla e questo nome mi suona conosciuto, scopriamo, infatti, che Tito e' fratello di Riccardo Mancilla, il proprietario dei cavalli che dovremmo noleggiare dall'altra sponda del lago O'Higgins: E' anche proprietario di un buon hospedaje a Villa O'Higgins, meglio di cosi...
Attraversiamo gratuitamente, a bordo di un battello, il fiordo sul pacifico per riprendere a pedalare dall'altra parte. Praticamente il tratto di mare e' considerata "carretera austral" per cui paga il governo del Cile. Anche dall'altro lato il paesaggio e' lo stesso, foreste e ancora foreste. Il percorso nella prima parte e' veloce ma poi arriva la prima salitella spaccagambe. Percorriamo altri 40 km prima di fermarci per piazzare le tende vicino ad un campo di lavoro allestito per ospitare gli operai che stanno costruendo un ponte in cemento. L'intenzione e' quella di "scroccare" un pasto caldo e magari anche un letto. Nulla da fare, gli operai sarebbero ben disposti ma...occorre il visto del capo. Lui arriva poco dopo ma non abbocca, e' veramente un negriero allevato al carcere di Juma. Montiamo le tende al riparo di una staccionata, il vento e' forte e freddo. Consumiamo la nostra zuppa dove ci mettiamo di tutto, riso, pollo, tonno. formaggio, pane e tanta fame. Mentre consumiamo il nostro pasto, gli operai dopo aver lavorato duro un giorno alle intemperie, disputano una partita a pallone su un piazzale sassoso indossando maglietta e scarponi da lavoro, qualcuno potrebbe far lustro a qualche squadra di rango nei nostri campionati. La notte piove forte ma all'alba fortunatamente riusciamo a smontare le tende in una breve tregua. Riprendiamo il percorso verso Villa O'Higgins che si fa conquistare dopo aver scalato altre due durissime salite e percorso un tratto di 10 km su una pietraia degna del peggior pavé' della Roubaix.
Urla di gioia e foto di rito davanti al cartello " bienvenidos a Villa O'Higgins".
La carretera finisce qui, oltre 1150 km di duro sterrato, pioggia e vento, salite e discese rischiosissime percorsi con un carico di 40 kg, bici esclusa. La sofferenza e' stata tanta ma ne valeva la pena. I villaggi attraversati sono abitati da povera gente, buona e disponibile. Anche se qualcuno conserva l'immagine della vergine accanto a quella di Pinochet, occorre ricordare che il "Generale" gli ha tolti dall'isolamento, anche se che ti toglie dai guai non sempre lo fa per farti del bene....
Troviamo subito l'Hostal di Tito, doccia calda e veloce comida prima di andare a cercare Pirincho. Lo troviamo la mattina successiva, come l'avevamo immaginato, sembianze di Corto Maltese, una sessantina d'anni portati "da marinaio". La sua casa e' un bazar, grande disordine, ci sono pezzi meccanici sparsi sul pavimento, cianfrusaglie accatastate. Al lato c'e' una grossa stufa a legna. Mentre lui parla con un carabinero su problemi di manutenzione della barca, la moglie, veramente degna compagna di un capitano, un po su di peso e vestita come peggio non si può', gli porge il calavaso con la bombilla (contenitore del mate amargo) dopo averne sorseggiato un pò ed aver sputato per terra qualche frammento di foglia passata dal filtro, Pirincho fuma come tre turchi e butta la cenere per terra, quando finisce la sigaretta butta anche la cicca a far compagnia alle altre sparse sul pavimento.
Attualmente a Villa O’Higgins un solo capitano civile, venuto dalle isole dell’arcipelago de “Los Chonos”, è capace di navigare per tutti i bracci del grande lago grazie all’esperienza acquisita in vent’anni. Dispone di due vecchie lance in disuso, un tempo utilizzate per la pesca nel Pacifico, arrivate sul lago dopo un lungo trasferimento su un carro trainato da buoi.El Capitan le riparò e le trasformò ricorrendo al suo ingegno e più volte è riuscito ad evitare il naufragio con astuzia e abilità. Il suo nome è Antonio Vidal però tutti lo chiamano “Pirincho” (gazza grigia). Per legge tutte le imbarcazioni necessitano di una “tripulaciòn” (equipaggio), il secondo pilota della lancia è sua moglie, Florentina Bahamondes, una discendente dei primi popolatori della penisola “La Florida”. Da loro ha ereditato la determinazione, la caparbietà, il gusto per l’avventura e il buonumore così che non solo ormeggia in equilibrio fra i flutti del tempestoso lago, svuota la stiva quando l’acqua la riempie e pesca salmoni, ma prepara delle deliziose torte fritte per i viaggiatori.
Ci mettiamo d'accordo sulla partenza, il giorno dopo alle 8,30 all'imbarcadero distante 8 km. Il prezzo e' un dettaglio trascurabile, solo 2 euro per 50 km di lago, paga il governo.
L'hostal dove alloggiamo e' veramente accogliente, mangiamo divinamente, trucha al forno, cordero e tanto pane che la moglie di Tito prepara in casa per la vendita. Quando partiamo tira un sospiro di sollievo, stavamo mandando in crisi la produzione per il villaggio ma la fame era tanta ed il pane era buono. Domani ci imbarchiamo alla volta di Candelario Mancilla e poi la ciliegina sulla torta, varcare il confine più’ difficile del sudamerica.
Alle 8,30 in punto siamo all’imbarcadero del lago O’Higgins, ad attendere troviamo un ciclista giapponese, è in viaggio da una settimana e va nella nostra direzione. Ha i portapacchi anteriori rotti e bloccati con delle fascette di plastica, rimedio al guaio riparandoli definitamente con fascette d’acciaio della mia scorta meccanica. Makoto, cosi si chiama, mi ringrazia con un “arigato” e, messa da parte la prima naturale diffidenza sul nostro colorito comportamento, entra nel “gruppo”. Poco dopo arriva “el capitan” con la sua tripulacion, moglie, figlia e genero. Smontiamo le bici e i carrelli e carichiamo tutto sulla barca. Con noi viaggiano anche 3 carabineros, un perro (cane) e un tacchino. Pirincho mentre parla con un carabinero, senza neanche guardare davanti manovra il timone con estrema sensibilita', si vede che per lui, abituato al tempestoso pacifico, questo lago e' un gioco. Per 50 km navighiamo su un lungo e stretto canale costeggiando la riva destra, ben distanti dalla sponda argentina. Lo scenario e' il solito, ormai consueto e quasi...noioso, cascate e cime innevate. Dopo 4 ore sbarchiamo a Candelario Mancilla dove ci sono solo 3 Carabineros in servizio alla dogana e Riccardo, fratello di Tito, che vive nella sua stupenda estancia con la madre settantacinquenne. Vivono soli e lontani da qualsiasi forma di civilta' in un contesto semplicemente indescrivibile. Una casa in legno ben arredata e ordinata, una dependance fornita di tutto, stalla e recinti per pecore, vacche e cavalli. Il giardino e' ben curato, la primavera inoltrata, anche se fredda, ha fatto il resto e l'esplosione di colori e' da cartolina. La vista sul lago e' impagabile, qui sicuramente non conoscono lo stress. La vecchia e' decisamente in forma, l'unico acciacco e' un dolore al braccio che curiamo con una delle nostre pomate. Anche se non abbiamo pedalato l'appetito non manca, ci facciamo vendere una dozzina di uova, patate, pane e pasta. Ci cuciniamo gli spaghetti conditi con un sugo che Sergio magistralmente prepara e a cena tutto il resto. La notte piove e nevica a quote relativamente basse ma la mattina un timido sole ci aiuta nelle operazioni di carico dei nostri pesanti fardelli sui cavalli.
Si parte scarichi e le bici ci sembrano quasi inguidabili, ormai l'abitudine al peso era fatta. Passato il controllo doganale incomincia una lunga salita con forti pendenze su un fondo molto sconnesso. Dopo 15 km inizia la parte del percorso più bella, un sentiero si snoda sotto un'imponente foresta tra guadi e pantani. Le bici le portiamo a spalla a parte qualche tratto pedalabile. Makoto, l'amico giapponese che ormai ci segue con fiducia, stenta un po' nell'attraversare i torrenti sui tronchi sottili e instabili ma riesce a non farsi il bagno. Dopo una decina di km arriviamo alla frontiera dell'Argentina, anche questa come quella cilena sulle sponde di un lago, la laguna del desierto. Di desierto non c'e' la minima traccia, un'imponente ghiacciaio si butta sul lago dagli alti contrafforti dello Hielo Continental Sur e le alte pareti del Fitz Roy ci dicono che il nostro viaggio sta terminando. Attendiamo due ore il battello che ci traghetta dall'altra parte. Rimontiamo le bici e percorriamo gli ultimi 40 km di un percorso veramente unico. La fatica e' ancora alta ma le endorfine che abbiamo accumulato in questi 15 giorni di duro pedalare ci fanno sentire euforici e felici dell'impresa compiuta. A cena festeggiamo con un ragazzo tedesco conosciuto all'hostal e con Makoto in un asador. Parrilla e vino tinto, che anche il giapponese beve, ci fanno ancora sognare e rivivere il percorso compiuto, scorriamo nella nostra mente la strada, le foreste e i tanti fiumi e laghi incontrati ma soprattutto le persone conosciute per strada. La mama, Tito, Odina, Riccardo, Luis, l'India, i tanti perritos coccolati, gli operai del campo di lavoro e Pirincho sono ormai entrati nei nelle nostre menti, difficile dimenticarli.
Il mattino seguente ci accorgiamo che il nostro viaggio si è concluso veramente, quasi ci dispiace smontare le bici e una forte nostalgia ci assale, siamo stati catturati dal fascino della conquista di un territorio senza uguali, siamo ritornati alla “civiltà”, lentamente la macchina spremituristi ci risucchia inesorabilmente e il fetido odore emanato dai piedi di una dolce ragazza sull’autobus che ci conduce a El Calafate proprio non lo sopporto, meglio l’alito di cipolle “dell’india samaritana”.
A El Calafate ho la sensazione d'essere in un qualsiasi posto turistico del mondo. La gente spende inutilmente i propri soldi per sciocchezze senza valore, i bus e minibus continuano a vomitare orde multietniche di turisti all'imbarcadero di Punta Banderas per scorrazzare nel lago argentino tra i ghiacciai. Il Perito Moreno e' un palcoscenico con vista sul ghiacciaio che, unico al mondo, continua ad avanzare. Quando viene giu' il ghiaccio sull'acqua, il rumore è coperto da un unico uuuuhhhh, oooohhhhh. I ristoranti espongono agnelli in croce davanti ai faggi in fiamme, quarti di bue su enormi graticole, lomos, lomitos, morcillas, budella e fegatini in attesa di bocche fameliche. I negozi espongono di tutto e di piu', capi in pelle, attrezzature da escursionisti provetti, carte dei parchi, bombillas e calavasi per il mate ma.....la Patagonia non e' questa. La Patagonia e' quella delle distese, della polvere, del vento, delle estancias, dei gauchos, dell'asprezza di un territorio immenso dove la presenza del turista disturba, la inquina, la rende meno affascinante da quella che descrive Sepulveda nei suoi racconti d'altri tempi. Se venite in Patagonia sono sicuro che rimarrete delusi, vi annoierete in lunghi trasferimenti su strade polverose, paesaggi monotoni rotti solo dalla lontana cordigliera innevata. La Patagonia rimarrà' impressa nella vostra mente se avrete il coraggio di camminare contro il forte vento su impervi sentieri sotto le grandi vette, arrivare stremati ad un rifugio infreddoliti e bagnati, dover montare la tenda perché' non c'e' un posto al coperto, scaldarsi una zuppa liofilizzata al riparo del vento e non potersi neanche accendere un fuoco perché', giustamente, e' vietato. La Patagonia e' arrivare stanchi dopo aver pedalato sotto l'acqua e controvento in un’estancia e sentire i racconti dell'ovejero e bere con lui il mate caldo secondo un rituale che ricorda quello che facevano gli indiani d'america nel fumare dalla stessa pipa. La Patagonia e' stare da soli in mezzo alla pampa e sollevare lo sguardo verso il cielo, immenso, sempre diverso e sentire solo il vento fischiare tra i bassi e spinosi cespugli. Quello che quest'anno non ho avuto sono le sensazioni forti della solitudine, essenziali per assaporare a fondo una dimensione di te stesso in un contesto unico fatto di tutto e nulla. Mi rendo conto che non tutti possono permettersi di attraversare queste lande con una bicicletta e portarsi dietro un carico da muli, ma sono contento che sia così. Mi sono sempre chiesto cosa mi spinge a fare questi viaggi. Ogni avventura ha i suoi momenti di riflessione, quando devi vincere la tua angoscia interiore e trovare la forza per andare avanti. E' una sensazione che accade continuamente, senza sosta, ad ogni colpo di pedale, metro per metro. Il viaggio autentico è quello che si compie con la mente, non conta la preparazione fisica o il talento naturale, conta il carattere e la determinazione. Ci sono motivazioni dentro di noi che vanno oltre ogni limite, forse la ricerca del desiderio di gloria, la competitività, la sfida. Senza rendercene conto veniamo catturati dalla bellezza di ciò che ci sta attorno ed alla fine ne siamo talmente contagiati sino ad esserne parte. La stessa fatica di avanzare giorno dopo giorno trascinandosi un carico impossibile, la volontà di continuare non ha necessariamente una ragione materiale ma il desiderio di vivere e ricordare a se stessi la gioia di esistere anche quando la salita si fa dura.Quest'anno ho voluto condividere l'esperienza con due compagni, Sergio e Daniele. Sergio e' il classico uomo tenace e duro come i sardi, sempre avanti, a testa bassa contro fatica, salita e acciacchi, mai vinto e domo. Grande disponibilità e generosità, carattere forte e freddo anche nelle situazioni più difficili, non mi ha sorpreso, lo conosco ormai da vent'anni e rimane una garanzia e un punto di riferimento per intraprendere altre avventure. Daniele era l'incognita, almeno per me, di questo viaggio. E' stata la sorpresa positiva, anche lui ha pedalato duro senza mai mollare anche quando la tendinite si faceva sentire. Mai un lamento sulla durezza del percorso o l'inclemenza del tempo, una garanzia per altri viaggi. Alla fine, anche se stremati e senza possibilità di riparo, avevamo l'allegria e l'entusiasmo di chi aveva compiuto un'impresa, appagati, felici e...bagnati.
Gracias compañeros de viaje, que ve vaya bien.

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"Fin del mondo"

"Sudamerica in bicicletta"