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dal 12/1/2008


© G.S.Chilometrando

Sento il dovere profondo di pubblicare la testimonianza di Simonetta Stringari

Agip in Amazzonia: pioggia nera sugli shuar

Una piccola delegazione altoatesina costituita da persone attive nel settore ambientale, sindacale e sociale e una studentessa della scuola superiore si è recata in Ecuador dal 4 al 18 novembre per toccare con mano i frutti del lavoro comune svolto attraverso i progetti dell'associazione Ecolnet e di altre agenzie territoriali. Di seguito il racconto di un giorno particolare.

***

Il 5 novembre è il nostro primo giorno a Quito: nel pomeriggio incontriamo Josè Tonello dell'ONG FEPP, responsabile di numerosi progetti in Ecuador , ed Esperanza Martinez, di Accion Ecologica, referente internazionale di Oilwatch (un osservatorio sulle attività delle multinazionali del petrolio) nonché vincitrice del premio Langer nel 2002.

Nel pomeriggio abbiamo una prima riunione per definire il programma del nostro viaggio in Ecuador. Proprio Esperanza ci propone di fare una variazione dello stesso: nella zona di el Triunfo, situata più o meno nella zona centrale dell'Oriente ecuadoriano, l'AGIP, effettuando perforazioni a ridosso dei territori delle comunità indigene Shuar, pare abbia causato seri danni all'ambiente e alle persone. Il giorno 7 le comunità indigene della zona si riuniranno per discutere la situazione. Esperanza ci fa capire come sarebbe importante la nostra presenza. Accettiamo quindi la variazione rispetto al programma originario. Partiamo per Pujo il 7 alle ore 6 del mattino; nel viaggio ci accompagneranno Josè e Natalie di Accion Ecologica. Dopo 5 ore di pullman di cui molte di strada sterrata ma con visioni paesaggistiche mozzafiato, arriviamo all'incontro.

Come prima cosa veniamo accolti in una capanna dove ci viene offerta la cicha, una bevanda molto particolare a base di yucca. Il gruppo che ci accoglie è tutto di etnia shuar a parte una donna kichwa che fa l'insegnante.
Dopo i convenevoli ci spostiamo nella sala riunioni: si tratta di un'altra capanna molto più grande dove si trovano circa 50 persone, donne e bambini inclusi, e un computer. Sono colpita dallo sguardo fiero dei membri della comunità Whasanti ma lo sono soprattutto da quello malinconico dei bambini. Dopo le presentazioni e i ringraziamenti ci vengono descritti i danni causati finora dalle trivellazioni: le contaminazioni dell'acqua (e cioè dei fiumi dai quali gli indigeni bevono) e quella dell'aria (la combustione del petrolio ha causato infatti una pioggia nera e tossica).
Dopo l'incontro Josè ci accompagna lungo un sentiero molto avventuroso per farci vedere la contaminazione del fiume: la zona è delimitata dal filo spinato.
Ci avviciniamo alla centrale AGIP presidiata da una postazione militare e scattiamo alcune foto. Ripartiamo con il pullman ma poco dopo ci accorgiamo di essere seguiti da due camionette della polizia; l'autista si ferma e salgono due militari per farci alcune domande. Ci spiegano di aver telefonato al capitano che ha chiesto loro di fare un'indagine. Nell'autobus cala il silenzio e serpeggia un certo timore. Josè ed Aurea, la nostra compagna ecuadoriana, scendono per discutere e si lamentano con i militari per questo trattamento nei nostri confronti. Poco dopo risalgono: i militari se ne sono andati. Scroscia un applauso liberatorio.

Prima di partire definitivamente Manuel, il capo del gruppo locale, ci aveva invitato a vedere la sua casa e il su orto biologico. Voleva soprattutto farci vedere l'acqua piovana (nera!) raccolta alcuni giorni dopo le trivellazioni: quell'acqua che ha contaminato i frutti del suo lavoro e che, soprattutto, ha fatto ammalare sua figlia. Da un anno la piccola ha sulla pancia un diffuso eczema per il quale, pare non sia stato possibile finora trovare alcun rimedio.
Manuel si commuove e ci commuove: Sono felice che siate qui ma nello stesso tempo sono triste perchè ora ve ne andate e sarò di nuovo solo. Ci chiede di non dimenticare ciò che abbiamo visto (e come potremmo?). Sorride a Leo che si è messo dietro l'orecchio un ciuffo di erbette del suo orto ...

Avevo letto molto dei danni causati in tutto il mondo dalle multinazionali del petrolio. Avevo visto anche i video girati nella zona di lago Agrio al nord dell'Ecuador, dove 30 anni fa la Texaco ha causato danni irreparabili. Ma toccare con mano, incontrare gli sguardi mi provoca una sofferenza quasi fisica ed un disagio profondo.
So che tutto questo è causato da un'azienda italiana e che una banca italiana, la Banca Nazionale del Lavoro ha contribuito a sovvenzionare la costruzione dell'oleodotto OCP che attraversa l'Ecuador. Non credo riuscirò più a far benzina ad un distributore AGIP, né aprirò mai un conto alla BNL.

Rifletterò comunque anche sul mio stile di vita: in fondo siamo noi, abitanti del Nord, che per mantenere i nostri stili di vita necessitiamo di quantità sempre maggiori di petrolio. Appena potrò mi comprerò una macchina a metano.