No alla guerra!

Home
News
Racconti e Reportage
Eventi e Attualità
Rassegna stampa
Ci hanno scritto
Link amici
E-mail



dal 12/1/2008


© G.S.Chilometrando

Ci hanno scritto pag. 2


Ci dobbiamo mobilitare
Ti rispondo dicendo che abbiamo il dovere di non tacere. Grazie, Ivana.

 

----- Original Message ----

From: maury
To: Chilometrando
Sent: Wednesday, October 19, 2005 12:26 AM
Subject: Fw: Riflessioni libere

Ciao Ivana, ciao Giancarlo,
spero che sia tutto a posto, i miei bimbi crescono vivaci e felici. Il papà e la mamma sono completamente estasiati da questa esperienza unica ed incredibile...Ti invio queste mie riflessioni fammi sapere cosa ne pensi. Saluti Maurizio, Linda, Glenda & Nicolò.


Cari amici,
sabato scorso mi è capitato di comprare il Corriere della Sera (solamente perché era finito "La Repubblica").
Sfogliandolo mi sono trovato davanti questo articolo dal titolo abbastanza inquietante:
"Hanno lasciato morire la figlia down"
Il pm: i genitori l'hanno sempre tenuta nascosta. Ora sono indagati per omicidio colposo.
Il contenuto di questo articolo è facilmente comprensibile, la storia riguarda una famiglia di Monreale in provincia di Palermo. Il giornalista Enzo Mignosi propone un articolo estremamente schematico, nel quale presenta prima un quadro generale della situazione, poi parla in maniera estremamente superficiale sia della bimba morta che della sua famiglia limitandosi ad accennare al fatto che aveva una sorellina gemella che "stava benissimo". Successivamente passa molto velocemente a descrivere il comportamento dei genitori, i quali messi alle strette dalle pessime condizioni della bimba si vedono costretti a portarla presso l'istituto materno infantile della zona, dove la bimba inizia a ristabilirsi ma dal quale viene poco dopo portata via nonostante il parere contrario dei medici. Si arriva così al mese di febbraio quando la bimba muore soffocata da un pezzo di pane e nessuno in casa si accorge dell'accaduto. Molto velocemente la bambina viene sepolta, senza che nessuno si chiede il come ed il perché di questa morte, fino a quando non arriva una telefonata ai carabinieri che dà inizio alle indagini, con la riesumazione del cadavere, l'autopsia, le perizie e gli interrogatori. Da queste prime indagini viene appurato che la bambina al momento della sua morte ossia a tre anni di vita pesava 3,5 kg.
Con queste parole finisce l'articolo. Quando ho finito di leggerlo mi sono chiesto quali fossero le intenzioni di questo giornalista che scrive un pezzo come questo senza cuore senza voglia di denunciare quanto accaduto ma soffermandosi solamente ad una sintetica e superficiale rendicontazione dei fatti.
Ho provato a dare tante ipotesi, ma sinceramente non riuscivo a capire il senso di quanto da lui scritto, ed ogni tentativo perdeva all'improvviso di ogni consistenza e significato.
Ragionando ho poi compreso che in realtà i giornalisti d'oggi raramente decidono di investigare su un argomento per cercare di comprenderne i motivi del perché e del come succedono certi fatti, soprattutto quando non c'è di mezzo qualche personalità di spicco dello spettacolo, della politica, dell'IMPRENDITORIA e dell'ALTA finanza nostrana o dello sport (CALCIO). Ma ancor di più quando non riescono a spetacolarizzare il tutto con un articolo sensazionalistico, creando lo scoop.
Tutte queste mie critiche per questo povero "ignaro giornalista" trovano fondamento nella speranza che le indagini portate avanti dal sostituto procuratore Laura Vaccaro, vadano ben oltre a quanto detto dall'ignaro giornalista.
Ossia come è possibile che accada una cosa del genere e che nessuno si renda conto molto tempo prima del rischio a cui andava incontro questa povera bambina. Leggendo la storia, dalla quale le responsabilità oggettive della famiglia sembrano più che evidenti ed inopinabili, le prime domande che mi sono posto sono state:
Ed il pediatra dove era? La bambina pesava solamente 3kg!!!!!
Ed i medici dell'istituto materno infantile, hanno espresso parere contrario all'interruzione della cura ricostituente, ma cosa hanno fatto?
E se hanno contattato i servizi sociali, questi alloro volta come si sono attivati?
Supponendo che non avessero ricevuto alcuna comunicazione in merito, possibile che un bambino una volta nato non sia sottoposto ad alcun tipo di controllo, che una copia di genitori possa decidere della vita o della morte del proprio figlio senza che nessuno si accorga di nulla? Dopo pochi mesi dalla nascita quanto meno si deve provvedere periodicamente a portare i bambini a fare i vaccini, con richiami annuali per diversi anni? Ma nessuno ha sentito o visto nulla?
Ed in fine, ma non meno responsabili, è possibile che in questa vicenda non caratterizzata da un raptus violento, ma per dei maltrattamenti continui e reiterati nel tempo sfociati poi in tragedia, nessuno si sia accorto di nulla, neanche un vicino, un parente, un familiare, un amico.
Questa povera bambina abbandonata al suo destino sin dalla sua nascita senza che tutta la nostra grande società civile sia stata in grado di aiutarla, di curarsi di lei, di crearle un futuro.
Io per primo, da genitore, mi sento responsabile di quanto accaduto, e di come anche dopo la sua morte nessuno abbia cercato di farle giustizia raccontando come è stata la sua vita, come sia nata diversa non per la sua condizione di persona con disabilità, ma perché con un destino già segnato dalla sua condizione di assoluto abbandono.
Ognuno di noi dovrebbe farsi un esame di coscienza pensando bene al proprio ruolo all'interno di questa società, che troppo spesso si autoreferenzia, senza sottoporsi ad una reale valutazione delle proprie capacità, dimenticandosi troppo spesso di chi non riesce ad urlare il proprio disagio.
Quindi noi come associazioni di persone con disabilità ci dobbiamo mobilitare perché certe cose non accadano più e perché il nostro movimento sia capace di dare voce agli esclusi, agli emarginati, AI SILENZIOSI IN GENERE CHE DIFFICILMENTE RIESCONO A TROVARE I GIUSTI SPAZI PER RECRIMINARE I PROPRI DIRITTI.
Se non saremo capaci di fare questo, avremmo fallito su ogni fronte del nostro agire, e tutte le nostre battaglie e le nostre parole perderanno di significato, ed ogni conquista sarà solamente un passo in avanti che ci omologherà ad una società incivile di conseguenza saremo automaticamente sconfitti
Per questi motivi e per altri cento dobbiamo continuare nel nostro operato, essendo sempre più forti e determinati, consapevoli di doverci battere per il nostro e per un futuro diverso e migliore per i nostri figli.

Saluti Maurizio Atzori.


----- Original Message -----
From: <vincent.....@tiscali.it>
To: "Chilometrando" <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Tuesday, September 13, 2005 10:45 AM
Subject: GRAZIE x le foto!!!

Ciao Ivana,
prima di tutto: complimenti per il sito (cosa che ho scordato di fare nella mail precedente!), ma soprattutto per le iniziative sia sportive che benefiche che organizzate con la Vostra associazione.

In secondo luogo: GRAZIE MILLE per le foto che non sono per me (io sinceramente preferisco il jogging al Poetto piuttosto che la bici), ma per mio padre (ciclista a livello amatoriale e grande appassionato di ciclismo)

...per questo non mi conosci e non mi hai individuato nelle foto! Ancora GRAZIE e ancora tantissimi complimenti!
Continuate così ...ad majora!

Vincenzo Brancia


 

----- Original Message -----
From: roberto coss
To: chilometrando@tiscali.it
Sent: Thursday, September 08, 2005 8:00 AM
Subject: x Ivana

Ciao Ivana, sono Roberto il figlio di Paolo Cossa ho visitato solo oggi il vostro sito, complimenti

per l'impegno e la grinta che mostrate.....

siete proprio una bella cricca..!!!quasi quasi prendo la bici a babbo e vengo con voi..tanti saluti

e FORZA GIGI..!!!

 


 

----- Original Message -----
From: "Carlo Alberto Melis"
To: "Chilometrando" <chilometrando@tiscali.it>


Ciao ragazzi,
volevo dirvi un po' di cose al telefono, ma a casa non ci siete e allora le
scrivo.
Primo: il motivo della chiamata era recuperare i recapiti di Giorgio.
Secondo: quanto prima avrò bisogno di compagnia perché adesso torno in bici.
E sapete che adoro i lunghi lenti fatti con voi.
Terzo, invio quanto da voi richiesto: la foto. Sono all'arrivo della Maratona di Reggio Emilia di domenica scorsa, chiusa col tempo di 2.51'38", che costituisce il mio nuovo primato personale. La Maratona ti dà sempre emozioni intense e che durano nel tempo.
Perciò, siccome tra i tanti pensieri che hanno alimentato la mia mente nei
42,195 c'è stato anche quello di voi due e delle cose che abbiamo fatto assieme, mi viene da pensare che un po' di merito di questo risultato sia anche vostro. Perciò vorrei che trascorreste delle feste piene di quella gioia intensa e calda che ho provato io all'arrivo.

Un abbraccio,
Carlo Alberto


 

----- Original Message ----
From: <arbotandem@noos.fr>
To: <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Thursday, December 16, 2004 7:25 PM
Subject: Re: Un tandem pour l'union

Nous avons pris tardivement connaissance de votre mail qui nous a fait très plaisir. Nous vous remercions de votre gentillesse et de votre intérêt pour notre projet.
Nous avons longé la côte ouest de la Sardaigne pour rejoindre la Corse. A ce jour, nous sommes dans le Sud de la France où nous profitons de notre séjour pour une remise en état de notre tandem après 6000 kilomètres parcourus.
Nous poursuivons notre périple et allons descendre sur l'Espagne et le Portugal où nous devrions passer deux mois avant de poursuivre vers les pays nordiques.
Si vous souhaitez produire un article sur notre périple, il vous est possible de vous inspirer de l'article presse figurant sur notre site internet.
Il est dommage que nous n'ayons pas pris le temps de discuter plus longuement ensemble, mais nous pouvons correspndre avec vous régulièrement si vous le souhaitez.
Il est difficile pour nous de regarder nos messages, car là où nous passons (souvent en pleine campagne) nous n'avons pas la possibilité d'aller sur internet.
Mais notre fille consulte régulièrement notre messagerie et nous fait part du courrier que nous recevons. Nous pourrons donc vous répondre.
En France, les gens pensent beaucoup aux fêtes de Noël. Nous passerons quant à nous le réveillon quelque part sur les routes du sud de la France en direction de Barcelone.
Nous profitons de ce moment particulier pour vous souhaiter de bonnes fêtes de fin d'année et vous adressons toutes nos sportives amitiés.

A très bientôt par mail
Nelly et Francis ARBOGAST

 


 

Da: "Massimo Falcone"
A: <chilometrando@tiscali.it>
Cc:
Oggetto: complimenti!!!
Inviato: Tue, 9 Nov 2004 17:25:44 +0100

Complimenti!!!
finalmente un sito che parla di ciclismo e di persone che non hanno bisogno dell'ultimo modello di guarnitura al carbonio o del telaio superleggero per sentirsi bene con se stessi e con il mondo!!! bravi continuate cosi.
tanti saluti a voi e alla vostra bella terra da un ciclista meno fortunato (abito a Roma)

Sebastiano Falcone

 


 

----- Original Message -----
From: ass cult sarda deledda pisa
To: ivana taccori
Sent: Tuesday, August 24, 2004 8:39 AM
Subject: visita sito

Cara Ivana,
forse questo mex è una ripetizione, scusami ma non sono sicuro che quello inviato direttamente dal tuo sito sia andato a buon fine.
ti dicevo che sei stata bravissima e ti ringrazio tanto a nome dei ragazzi, dell'associazione e mio in particolare. i ragazzi li rivedrò a settembre per cui ho segnalato il sito a qualche genitore che è già rientrato per lavoro.
ho dato uno sguardo ai grafici del tour dolomitico, da brividi! complimenti.
saluti cordialissimi,

Gianni Deias



----- Original Message -----
From: Sandro Mocci Tiscali
To: chilometrando@tiscali.it
Sent: Monday, August 16, 2004 10:07 PM
Subject: Otto anni dopo

Cari Ivana e Giancarlo,
 vi trasmetto il file della lettera che, se vorrete, potrete pubblicare. Intendo rimettermi a scrivere, con la solita ironia, storie di ciclisti e di biciclette. Ne ho alcune in cantiere….
A presto Bye, bye
 
Otto anni dopo. Cagliari, agosto 2004.
Antefatto n°1.
Dopo tanti anni di studio, poco moto e conseguente grasso, finalmente sono tornato in bicicletta. Non che non pedalassi più, tutt’altro. Tuttavia si trattava di uscite poco impegnative, senza programmi, senza stimoli, senza motivazioni. All’inizio del 2004 ho preso il coraggio a due mani e ho deciso di partecipare al Giro delle Dolomiti. È stata più che dura. A natale 2003 pesavo 95 chili. A Bolzano mi hanno accompagnato gli 83 più tenaci di questi 95. Erano ancora troppi. Comunque sono arrivato alla fine. Ultimo assoluto, ma dentro la graduatoria. Altri duecento ciclisti, per un motivo o per l’altro, non sono entrati.
Il Giro delle Dolomiti, come le stagioni o i frutti dell’orto, non è più quello di una volta. Troppo tecnologico, troppo specialistico. Troppi scalatori veri. Non c’è spazio per i grassi, eroici e ironici allo stesso tempo. Non si ride più: tutti col naso all’insù a controllare le classifiche, all’arrivo.
Ma non è del Giro delle Dolomiti che devo scrivere; o, meglio, non ora. Devo scrivere del perché mi sono rimesso a scrivere. Il primo motivo è la fatica dello studio. Rompere la routine. Bene, la bicicletta va benissimo allo scopo. E scrivere dei ciclisti è divertentissimo, perché i ciclisti sono la categoria umana più divertente, proprio perché la più umana.
Ho ancora in bozza un testo del 1996, otto anni fa, che raccontava l’epopea della mia squadra: il GS Amatori Cagliari. Era un libro spassosissimo, ma non trovò un editore. Forse aveva qualche pecca compositiva, qualche ingenuità stilistica da neofita. Però piaceva. Tanti, che conoscevano i personaggi, si sganasciavano dalle risate! Forse il limite era proprio questo: bisognava conoscere i personaggi, averli incontrati per strada, averne sentito parlare; ma in questo modo il racconto non era universale, cioè non valeva per tutti. A Gallarate non avrebbero riso, o almeno non subito (posto che a Gallarate abbiano voglia di ridere, così vicini ad Arcore…). Tuttavia lo lessero in tanti, uomini di cultura, noti e valenti giornalisti. Ne mandai una copia anche al compianto Adriano De Zan, che passava le ferie da noi, a Stintino. Piacque molto a tutti. Ma la stroncatura, solenne e inappellabile, venne dal tempio della letteratura: un docente di Lettere dell’Università di Cagliari lo lesse e sentenziò che, a mala pena, sarebbe servito ad una locandina della pro-loco, per via di certe descrizioni paesaggistiche dei percorsi del racconto. Anzi, mi consigliò, prima di scrivere ancora, riconoscendo le mie qualità, di studiare seriamente letteratura, leggendo, per esempio, Fenoglio, Camilleri e Sergio Atzeni.
Seguii in parte i suoi consigli: comprai molti Camilleri, ma li deposi presto; non era il mio genere. Per studiare seriamente lo feci, ma in altre discipline. Scrissi molto, ma di altri argomenti; di ciclisti e di biciclette, mai più. L’epopea degli Amatori Cagliari giacque, da allora, in un cassetto, anzi in un hard-disk.
Antefatto n°2.
Alle Dolomiti c’erano anche Ivana e Giancarlo, vecchi amici di pedale e, a suo tempo, miei entusiasti lettori. Mi parlarono del loro sito in Internet e delle loro iniziative bici-mediatiche, anche letterarie. Mi colpì, in particolare, il loro attaccamento ad un comune amico che in quel momento affrontava una salita assai più tosta delle nostre. Mi piacque il loro progetto di sostenere l’amico, anche scrivendo. Lo farò anch’io, molto presto.
Bene, questi sono gli antefatti. Il fatto è lo scrivere di nuovo. Ma scrivere di bicicletta è un’iniziativa anche simpatica, che rimane, tuttavia, circoscritta ai pochi o numerosi amici ciclisti che in qualche modo accedono al sito. Prima c’erano gli editori che cestivano i libri dei ciclisti. Ora c’è Internet che permette ad un numero sempre più ampio di persone di avere accesso a testi che prima non avrebbe mai letto o consultato, con o senza editori.
Bisogna stimolare di più la multimedialità sportiva, l’accesso ai siti che raccontano dello sport, non solo di cronaca, ma di storia e di vita sportiva. Non è l’ordine d’arrivo, ma la storia dell’arrivo e di chi me la vuole raccontare, che mi interessa. Sennò basta leggere la Gazzetta, ed io non leggo quotidiani. Ben vengano i siti come “chilometrando.org”.
Il libro morrà? Boh, forse. Ciò che conta è il testo, non il mezzo. Il mezzo è il “medium”, lo strumento, il supporto, ciò attraverso cui si potrà fruire del testo: leggerlo, vederlo, sentirlo, e fra qualche anno …annusarlo, assaggiarlo. Questa è la multimedialità.
Se riuscissimo a raccontarci di più e far circolare questo raccontarsi, sarebbe una cosa formidabile. Scopriremmo tante cose, tanti perché. Perché la bicicletta aspira a sostituire il cane come miglior compagno dell’uomo (ho scritto “compagno”, non a caso… non facciamo scherzi), o il correlativo “miglior compagna” della donna.
La bici è un prolungamento dell’uomo…ecco perché. È un’estensione di noi stessi, che finisce con lei. Uomo e bici, o donna e bici, sono una cosa sola. Anzi sono una “diade”, come la madre e il neonato. Stop. Avremo modo di approfondire. Gli argomenti sono tanti e, come in ogni trasmissione che si rispetti… stimolanti. Quel che conta, oggi, è l’impegno a contribuire questo raccontarsi, questo tamtam ciclo-mediatico

A presto.
Sandro Mocci


 

 

----- Original Message -----
From: <Gianni Deias>
To: "taccori" <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Sunday, July 25, 2004 11:50 AM
Subject: nostra festa

Carissima Ivana,
abbiamo appena portato a termina la VI edizione della Festa della Sardegna.
Sono ancora in letargo per recuperare un pò di energie, pensa solo 3-4 ore
di riposo al giorno per ben 12 giorni. L'importante è il risultato: abbiamo
superato i numeri dello scorso anno, non credo sia possibile fare di più.
La nostra campagna di solidarietà, da me sempre più voluta e pretesa, avrà
come destinatari l'ospedale microcitemico di Cagliari, un progetto Unicef
per i bambini in Iraq, una missione francescana in Ecuador, la Misericordia
di Pisa e la Pubblica Assistenza di Asciano. Questo comporterà un'equa divisione
della raccolta fatta dai sempre più splendidi "miei" ragazzi di Asciano.
In allegato ti invio una lettera di Alice che partecipa alla raccolta e
alcune foto relative al punto di raccolta. Ricordandomi quello che mi hai
detto a giugno ti invio anche una foto con me ed alcuni ragazzi.
mi piacerebbe organizzare qualcosa che possa maggiormente gratificare i
ragazzi che sono un vero esempio non solo per i loro coetanei ma anche per
gli adulti. Pensi che sarebbe possibile la tua presenza e quella della prof.ssa
Argiolu in ottobre (o anche sotto Natale) a Pisa? sarebbe bello.

ciao a presto, Gianni

 


----- Original Message -----
From: <Patrizia Fanni>
To: <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Saturday, November 06, 2004 3:29 PM
Subject: Lettera ad Ivana

Per la prima volta oggi sono riuscita ad entrare nel sito Chilometrando... Lo stimolo e la curiosità mi sono venuti vedendo il servizio di Videolina sulla cerimonia della FASI (Circolo Grazia Deledda di Pisa) nella quale è stato consegnato l'importo raccolo per il separatore cellulare del Microcitemico di Cagliari. E' proprio vero che il tempo che passiamo in Ufficio a volte è sprecato. Ho, ad appena qualche decina di metri da me, una persona incredibile (per quel poco che io riesco a parlarti nei nostri veloci e fugaci incontri non sono riuscita a rendermi conto della
portata del tuo cuore) e che io non conosco per nulla. Mi sono sentita molto inutile ed inadeguata a parlare di altri e di volontariato, ed il mio essere Infermiera volontaria di Croce Rossa sbiadisce ed è solo un insieme di parole che di fronte a quello che fai tu, con la gioia e l'ironia del tuo essere, non hanno alcun significato.Penso che anche per te abbiano pieno valore le parole del motto delle II.VV. della CRI "Ama, conforta, lavora, salva" perché si vede l'amore che metti nelle cose che fai e che organizzi, la gioia che dai e che ricevi nella tua attività al di fuori del lavoro, l'impegno che ci metti nel farlo.Ti ripeto, un pò mi vergogno del mio diploma appeso nella mia stanza in Ufficio, delle mie poche capacità, del mio tempo per gli altri praticamente nullo, e forse un poco ti invidio...
Ti voglio bene, collega dalle mille e una sorpresa...

Patrizia Fanni


 

Silvia, Silvana, Marco.

From: Macis, Marco
To: chilometrando@tiscali.it
Sent: Wednesday, July 14, 2004 3:09 PM
Subject: Aspettando BRUNO. Grazie di Cuore

 

Ciao Ivana!
 
Sono Marco, il figlio di Bruno.
 
Leggere l'articolo che hai voluto dedicare a papà è stato davvero molto bello e commovente... ma non sono solito soffermarmi troppo su queste emozioni, me le godo intensamente e poi giù di nuovo a capo chino a combattere questa battaglia per la Vita.
Bruno ha di fronte un ostacolo che, per molti, sarebbe impossibile persino solo voler affrontare!
 
Lui ha deciso di affrontarlo alla maniera di Peter Polak, cioè contando solo sulle sue forze, abbandonando la Velenosa medicina tradizionale... e lo sta facendo ALLA GRANDE... ripeto ALLA GRANDE, come pochi riuscirebbero a fare!
 
Noi, vale a dire la famiglia e gli amici, abbiamo ora il compito che Tu e Giancarlo avevate nella Cagliari - Sassari con Peter: dobbiamo tirargli fuori tutto il coraggio, la speranza, la fiducia e la voglia di VINCERE, perchè Bruno ce la può fare davvero a scalare di nuovo i passi dolomitici.
 
Nel suo sorriso di questi giorni, seppur con dolori e sofferenza, c'è tutta la voglia di vivere ancora quelle splendide emozioni.
 
Nei momenti di tristezza piangeremo con lui... nei momenti di gioia rideremo con lui e quando, con l'ultima TAC, non ci sarà più evidenza del tumore tutti insieme lo festeggeremo!
 
Grazie di Cuore.
Marco, Silvana e Silvia

 


----- Original Message -----
From: antonio_s
To: chilometrando@tiscali.it
Sent: Thursday, October 14, 2004 10:13 PM
Subject: Un caro saluto da Antonio S.

 

Carissima Ivonne
Le cose belle e nobili circa il sito già te le ho dette.
D’altra parte, con sguardo meravigliato e quasi colpito dalla citazione di “Dino Kazirra Buzzati” oggi mi chiedi di scriverti ed io, sorridente annuisco e prometto. Poi mi interrogo: Cosa mai potrò scrivere ad Ivana che possa quasi valere la pena di essere letto.
Le nostre piccole e sciocche futilità che possono dare una parvenza di senso alla vita ce le raccontiamo tutti i giorni, al Bar dell’Ufficio, quando ci concediamo un caffè, piuttosto che una pasta o un succo di frutta all’ananas…
Noi, borghesucci rubicondi (parlo per me naturalmente!) viviamo di questo e di poco altro di importante. Ma tant’è.
Allora penso, forse per la prima volta durante il giorno (in altri termini sgombro il campo da decreti e testi unici) e mi viene alla mente un dettaglio di ieri. Stavo tornando a casa, in macchina, sovrapensiero e radio accesa. Il conduttore esortava a telefonare in redazione a chiunque volesse trovare o ritrovare libri oramai dimenticati dalle case editrici.
Un ascoltatore telefona: è un iraniano. Racconta brevemente che vive ormai da diversi anni in Italia e che porta con se un ricordo che vorrebbe in qualche modo “rinfrescare”.
L’ascoltatore cerca un libro di uno scrittore anch’esso iraniano, Sadeq Hedayat, dal titolo “la civetta cieca”. Era il primo libro da lui letto in gioventù e ne ha un ricordo struggente. Sostiene, prima di ringraziare e riattaccare, che il libro avrebbe dovuto rileggerlo in età più adulta, onde poter cogliere tutte quelle sfumature che allora, purtroppo, non percepì.
Incuriosito dal titolo e dall’autore mi ripropongo appena arrivato a casa di saperne di più. In questo solo internet mi può aiutare…
Arrivo a casa e realizzo che non mi ricordo più il nome di quello scrittore che aveva scritto…. Ah si, la civetta cieca!
Il resto vien da se; cerco il titolo del libro, trovo l’autore e le brevi biografie che di esso, in varie lingue, si riportano. Apprendo che è morto suicida poco meno che cinquantenne e poco più di cinquant’anni fa. Del libro continuo a non saperne nulla, ma in compenso trovo un suo racconto: “il cane randagio”. Lo leggo e mi commuove.
Te lo propongo, sperando intimamente, se vorrai leggerlo, che provochi in te sentimenti affini ai miei. Quante metafore in questo breve racconto…
Un abbraccio
Antonio.
 
 
La piazza di Varamin era formata da alcune bottegucce tipo panificio, macelleria, drogheria, due case del té e un salone da barbiere. Tutte fatte solo per poter sfamare e per soddisfare i primitivi bisogni della vita.
La piazza e i suoi abitanti, sotto il sole battente, mezzo arrostiti e mezzo bruciati, erano in attesa delle prime brezze serali e delle ombre della notte. Gli uomini, le botteghe, gli alberi e gli animali, tutti avevano smesso di lavorare e muoversi. Un'aria calda passava sopra le teste e sullo sfondo azzurro del cielo la polvere ondeggiava addensandosi sempre più per il via vai delle automobili. In un angolo della piazza c'era un vecchio platano, che malgrado fosse svuotato e marcito nel mezzo, aveva espanso con tenacia i suoi contorti rami artritici, e all'ombra delle sue foglie polverose era stato eretto un grande palco sul quale due ragazzini dalle voci acute vendevano risolatte e semi di zucca. C'era poi un denso e fangoso corso d'acqua che si trascinava con pesantezza nel fosso che passava davanti alla casa del té. L'unico palazzo che si notava era la famosa torre di Varamin, di cui erano visibili la metà del tronco cilindrico striato dalle crepe e la punta conica, e tra le fessure dei suoi mattoni rotti avevano fatto il nido i passeri, anche loro silenziosi e assopiti per il caldo. Il silenzio era rotto solo, a piccoli tratti, dal gemito di un cane. Era un cane scozzese dal muso color paglia, con delle macchie sulle zampe come se avesse corso nel fango e gli fossero rimasti gli schizzi di melma. Aveva le orecchie aguzze, la coda lucida, i peli ondulati e sudici e due occhi intelligenti che brillavano nel muso peloso. Al fondo di quegli occhi, celato dalla notte che veniva sommergendo la vita, c'era qualcosa di umano, vi ondeggiava qualcosa di infinito, un messaggio che non si poteva percepire, ma era lì, impigliato dietro le pupille. Non si trattava di una luce o di un colore, ma di qualcosa di indefinibile, come quello che si coglie negli occhi di una gazzella ferita. Non esisteva solo una certa somiglianza fra i suoi occhi e quelli umani, ma una perfetta parità. Due occhi castani pieni di un'attesa e di un dolore quali si possono vedere solo nello sguardo di un cane randagio. Ma nessuno sembrava che notasse o che capisse quell'espressione dolorosa e supplichevole. Davanti al panificio il fattorino lo picchiava, davanti alla macelleria il garzone gli tirava le pietre, se si rifugiava all'ombra di una macchina lo accoglieva il calcio pesante dell'autista dalle scarpe chiodate, e quando tutti si stancavano di maltrattarlo, era la volta del ragazzo venditore di risolatte che godeva particolarmente a torturarlo. Dopo ogni lamento, veniva colpito da un sasso e da una risata interrotta da insulti: "Maledetto cane di un infedele!". Anche gli altri sembravano complici del ragazzo e lo incoraggiavano subdolamente, ridacchiando sotto i baffi alla vista di quella scena. Ma tutti gli davano addosso solo per "amor di Dio" e sembrava loro più che normale torturare, per ottenere la grazia, quello schifo di cane che era stato maledetto dalla religione e aveva settanta vite.
Intanto, il ragazzo venditore era talmente determinato nell'infastidirlo, che l'animale fu costretto a fuggire in un vicolo che portava verso la torre, trascinandosi sfinito, con la pancia vuota, e rifugiandosi in un fossato. Lasciò cadere la testa sulle zampe tirando fuori la lingua e in uno stato di dormiveglia fissò la verde campagna davanti a sé. Era stanco e aveva tutti i muscoli indolenziti, ma con l'aria umida del fossato si sentì penetrare in tutto il corpo un particolare senso di rilassamento. I diversi odori, mescolati insieme, gli risvegliavano nelle narici lontani e confusi ricordi: l'erba moribonda, una vecchia scarpa inumidita, odore degli oggetti morti e di quelli vivi. Ogni volta che osservava un prato una voglia istintiva e ricordi del passato si risvegliavano in lui, ma questa volta il richiamo era talmente forte che gli sembrava di sentire davvero nell'orecchio una voce che lo invitasse a correre saltellando. Era un desiderio ereditario, perché i suoi antenati, in Scozia, nei prati erano cresciuti liberamente, ma il suo corpo debole non gli permetteva di compiere neanche il più piccolo sforzo. Provava un misto di dolore, debolezza, languore. Una manciata di sensazioni dimenticate e perdute si accendevano di nuovo in lui. In passato aveva avuto precisi doveri, e diritti: presentarsi al richiamo del suo padrone, difendere la casa dalle persone o dai cani estranei, giocare con il figlio del padrone, aveva saputo come comportarsi con le persone familiari come con gli estranei, mangiare a una determinata ora o quando chiedere carezze. Ma ora ne era stato distolto. Tutta la sua attenzione ora era dedicata a procurarsi, con timore, qualcosa da mangiare in qualche pattumiera, ad essere picchiato e a lamentarsi tutto il giorno. Questo era il suo unico mezzo di difesa. In passato era stato coraggioso, pulito e vivace. Ma ora diventato fifone e pigliasberle, tremava ad ogni rumore che sentiva, ad ogni movimento, aveva paura persino della propria voce. Era ormai abituato al sudiciume e alla spazzatura. Gli prudeva il corpo ma non aveva nemmeno voglia di levarsi le zecche o darsi una bella leccata. Si sentiva di appartenere ormai all'immondizia. Qualcosa in lui era morto, era spento. Da quando era caduto in quell'inferno sperduto erano passati due inverni, e non aveva mangiato una sola volta a sazietà. Non aveva mai avuto un sonno tranquillo. Tutti gli istinti e i desideri sessuali gli si erano assopiti. Nessuno gli aveva mai fatto una carezza, l'aveva guardato negli occhi. Malgrado questi uomini sembrassero assomigliare tanto al suo padrone, c'era un'enorme distanza fra i sentimenti, il comportamento e il carattere di lui e quelli di questa gente. Come se gli uomini del passato fossero molto più vicini al suo mondo e capissero meglio il suo dolore e il suo sentire, e lo proteggessero.
Fra gli odori che gli accarezzavano le narici più di tutti lo inebriava quello del risolatte del ragazzo: quel fluido bianco che somigliava così tanto al latte di sua madre rinverdiva nella sua mente ricordi d'infanzia. D'improvviso si sentì scivolare in un dolce torpore. Si immaginò un cucciolo che succhiava dai capezzoli di sua madre quel flusso caldo e nutriente mentre la lingua morbida e forte di lei gli leccava e puliva tutto il corpo. Sentiva già l'intenso odore dell'abbraccio della madre e del fratellino. Appena sazio, avvertiva il proprio corpo acquietarsi, un tepore fluido gli scorreva nelle vene, la testa appesantita si staccava dal cappezzolo e poi scivolava in un sonno profondo, scosso a tratti da sussulti di piacere. Quale voluttà superava quella che provava quando, premendo le mammelle della madre con le sue piccole zampe, il latte schizzava senza difficoltà o ostacoli. Il corpo lanuginoso del fratellino, la voce della madre, tutto era così piacevole, carezzevole. Si ricordò della sua cassetta di legno e dei giochi che faceva col fratellino in quel giardino verde: gli mordicchiava le orecchie aguzze, si rotolavano per terra per poi alzarsi e rincorrersi. Più in là aveva trovato nel figlio del suo padrone un altro compagno di giochi, e in fondo al giardino lo rincorreva, gli abbaiava e tirava con i denti il suo vestitino. Non che avesse dimenticato le carezze del suo padrone e le zollette di zucchero che aveva mangiato dalle sue mani, ma aveva voluto sempre più bene al figlio perché era il suo compagno di giochi e non lo puniva mai. Poi aveva perduto d'improvviso le tracce della madre e del fratello. Gli erano rimasti solo il padrone, sua moglie, il figlio e un vecchio maggiordomo. Come distingueva bene l'odore di ciascuno di loro e come riconosceva il rumore dei loro passi! All'ora dei pasti girava intorno alla tavola e annusava i cibi. A volte la moglie del padrone, benché contrariasse il marito, gli prendeva con tanto affetto un boccone, poi arrivava il vecchio maggiordomo e lo chiamava: "Pat! Pat!", e metteva il suo pasto in una ciotola accanto alla sua casetta di legno. Fu la pubertà la causa della sua disgrazia, perché il suo padrone non lo lasciava uscire e andare dietro alle femmine. Finché un giorno d'autunno il suo padrone e altre due persone, che erano spesso a casa loro e dunque Pat conosceva bene, presero l'automobile e chiamarono anche lui per una gita. Pat aveva già viaggiato altre volte in auto col padrone, ma quel giorno era come inebriato, subiva una particolare emozione. Dopo qualche ora scesero proprio in quella piazza e passarono da quello stesso vicolo che portava alla torre. Ma tutto d'un tratto Pat avvertì nell'aria l'odore di una cagna, si sentì impazzire per quel vago profumo, quel richiamo della sua specie che aveva sempre cercato. Si mise a seguirne le tracce annusando a tratti e infine spuntò, attraverso un fossato, in un giardino.
Era quasi il tramonto quando Pat avvertì la voce del suo padrone chiamare: "Pat! Pat!". Ma era veramente il padrone o soltanto un'eco che gli risuonava nell'orecchio? Quella voce esercitava una strana influenza su di lui perché gli ricordava tutti i suoi doveri, gli impegni e le gratitudini verso il padrone, ma esisteva una forza ancora maggiore che lo faceva restare con la cagna e lo rendeva sordo ai rumori del mondo. Si erano destate in lui forti sensazioni e l'odore della sua femmina era così intenso da fargli girare la testa. I muscoli, il corpo, i sensi non gli ubbidivano più e aveva perso completamente il controllo di sé. Era in questo stato quando sussultò per l'improvviso piovergli addosso di colpi di bastone e manico di vanga: fu scacciato dal giardino attraverso lo stesso fossato.
Appena si riprese, Pat, stordito, confuso, stanco ma leggero e soddisfatto, cominciò a cercare il padrone; ne era rimasto soltanto un leggero odore nei vicoli. Cercò dappertutto lasciandosi dietro tracce a distanze determinate. Arrivò fino alle rovine fuori del paese ma ritornò indietro perché aveva capito che il suo padrone era di nuovo in piazza; una volta raggiunta la piazza quel leggero odore si perdeva negli altri. Veramente il suo padrone era andato via e l'aveva dimenticato là? Ebbe paura e provò una strana angoscia voluttuosa. Come poteva vivere senza il suo padrone, senza il suo dio, perché il padrone per lui era come un dio, ma allo stesso tempo era certo che lui lo avrebbe cercato. Spinto dalla paura riprese a correre per le vie ma tutto fu inutile, del padrone nessuna traccia. La notte lo trovò, fiacco e sfinito, di nuovo in piazza.
Ricominciò a gironzolare nei vicoli del paese e finì davanti a quel fossato dal quale si era introdotto nel giardino, ma era stato ostruito con i sassi. Si mise a scavare furiosamente nella terra per aprirsi una via d'accesso al giardino ma presto capì che era impossibile e deluso si mise a sonnecchiare. Era mezzanotte quando si svegliò di soprassalto per i suoi stessi lamenti. Balzò in piedi impaurito e riprese il suo girovagare nei vicoli annusando i muri. Quando sentì la fame farsi sempre più acuta fece ritorno alla piazza dalla quale giungevano i diversi profumi dei cibi: l'odore della carne avanzata, il profumo del pane fresco e dello yogurt, tutti mescolati insieme. Ma Pat, intanto, si sentiva un intruso nella proprietà altrui, doveva chiedere elemosine a questa gente che somigliava tanto al suo padrone e forse, se non fosse spuntato qualche rivale a cacciarlo via, piano piano avrebbe potuto conquistarsi il diritto a quel territorio e chissà, uno tra questi esseri che aveva il cibo per le mani, lo avrebbe preso con sé. Timoroso e con tanta cautela avanzò verso il panificio che era stato aperto da poco: il profumo buono della farina cotta riempiva l'aria. Pat si sentì chiamare da un uomo con un pane sotto il braccio: "Vieni...vieni!". Com'era strana quella voce! Ma l'uomo gli gettò un pezzo di pane caldo. Pat, dopo un pò di esitazione, divorò il pane e cominciò a scondinzolare. L'uomo posò il pane sul bancone del negozio e fece, con delicatezza, una carezza sulla testa di Pat e si mise a levargli il collare. Ma appena mosse di nuovo la coda e si avvicinò al padrone del negozio, fu colpito bruscamente da un calcio sul fianco e si ritirò con un lamento. L'uomo andò verso il fossato e si sciacquò meticolosamente le mani. Ancora Pat riconosceva il proprio collare appeso davanti al panificio! Da quel giorno Pat da questa gente non aveva ricevuto altro che calci, sassate, bastonate. Come se tutti fossero suoi nemici giurati e godessero a torturarlo. Si era reso conto di essere capitato in un mondo nuovo che non sentiva come suo e non avrebbe mai potuto penetrargli dentro. I primi giorni furono durissimi ma poi cominciò ad abituarsi. Aveva scovato un posto, sulla destra svoltando da un vicolo, dove buttavano la spazzatura e nel quale spesso si trovavano pezzi deliziosi come ossa, lardo, pelle, teste di pesce e molte altre cose che lui non sapeva identificare. Il resto della giornata, poi, lo passava davanti al panificio e alla macelleria a pigliarsi botte invece di cibo. Fu così che si adattò alla sua nuova vita, mentre del passato non gli era rimasto altro che il ricordo di alcuni odori e un pugno di sensazioni vaghe e evanescenti. Ogni volta che se la passava male davvero trovava in quel paradiso perduto una fuga, e si consolava lasciando scorrere davanti agli occhi i ricordi di allora. Ma la cosa che più di ogni altra lo faceva soffrire era il proprio bisogno di essere accarezzato. Era come un bambino che avesse preso solo scapellotti e insulti, ma in cui non si era spenta la tenerezza dei sentimenti. In questa sua nuova vita, piena di dolore e di sofferenza, sentiva più che mai il bisogno di carezze, le elemosinava con gli occhi ed era pronto a dare la vita in cambio di un pò di affetto e di una mano carezzevole sulla testa. Lui stesso aveva bisogno di esprimere il proprio amore e di dedicarsi a qualcuno, ma nessuno sembrava volerlo capire. In tutti gli occhi non vedeva altro che odio e cattiveria e qualunque cosa facesse per attirare l'attenzione di queste persone sembrava invece incitare in loro ira e collera.
Nel fossato Pat, d'improvviso, si svegliò come da un incubo. Aveva una fame nera, quella maledetta fame che fa dimenticare tutto il resto. Nell'aria c'era profumo di carne allo spiedo. Si alzò con difficoltà e si diresse prudentemente verso la piazza. In quello stesso momento un'automobile rumorosa avvolta da una nuvola di polvere entrò in piazza Varamin. Ne scese un uomo che andrò dritto verso Pat e gli accarezzò la testa. Ma non era il suo padrone, non poteva essere ingannato perché conosceva bene il suo odore. Ma da dove era saltato fuori qualcuno che lo accarezzasse? Mosse la coda e fissò l'uomo, incerto. Forse volevano ingannarlo? Ma questa volta non aveva nemmeno il collare. L'uomo si voltò e di nuovo gli fece una carezza sulla testa. Pat cominciò a seguirlo, sempre più sorpreso perché l'uomo entrò in una casa che Pat conosceva bene e da dove veniva il profuno del cibo. Si accucciò su una panchina accanto al muro. Gli portarono pane caldo, yogurt, uova ed altre cose. L'uomo gli gettava davanti pezzi di pane imbevuti di yogurt. Pat mangiava frettolosamente e poi più lentamente quei bocconcini e guardava grato l'uomo con i suoi occhi castani, languidi, supplichevoli, e muoveva la coda. Era sogno o realtà? Aveva mangiato a sazietà senza essere interrotto dalle botte! Aveva trovato un nuovo padrone? L'uomo, malgrado il caldo, si alzò e si diresse verso il vicolo che portava alla torre e di là, dopo una sosta, continuò il suo giro per i vicoli tortuosi insieme a Pat, che lo seguiva dovunque. Finché giunsero fuori dal paese, ad un rudere di cui era rimasto soltanto qualche brandello di muro, le stesse rovine dove Pat una volta aveva rintracciato l'odore del suo padrone. Forseanche gli uomini inseguono gli effluvi delle loro femmine? Pat attese l'uomo all'ombra del muro e poi tornarono in piazza attraverso un altro percorso. L'uomo fece ancora una carezza a Pat e dopo un breve giro intorno alla piazza andò a sedersi in una di quelle automobili che Pat conosceva bene e su cui non si azzardava a salire. Vi si accucciò accanto e guardò l'uomo. D'improvviso l'automobile si mise in movimento in una nuvola di polvere. Pat, senza esitazione, prese a corrergli dietro. Non poteva, no, non poteva perdere quell'uomo. Ansimante e affannoso, e malgrado il dolore che lo assaliva, correva con tutte le sue forze a grandi balzi. L'automobile si era allontanata dal paese e attraversava l'aperta campagna. Pat riuscì a raggiungerla due o tre volte ma poi rimase di nuovo indietro. Aveva raccolto tutte le sue forze per quella corsa disperata, ma l'automobile andava più forte di lui. No, aveva sbagliato tutto! Oltre a non potere tenere il passo con l'automobile, era esausto e avvertiva il languore di stomaco. D'un trattò avvertì che i suoi muscoli non gli ubbidivano più. Tutti i tentativi furono inutili. Non sapeva più dove andava e perché avesse corso. Non poteva proseguire né tornare indietro. Si fermò ansante, con la lingua fuori, gli occhi annebbiati e la testa reclinata, si ritirò con difficoltà dalla strada e distese la pancia sulla sabbia calda e umida di un fossato che costeggiava i campi. Il suo istinto impossibile da ingannare sentì che di là non si sarebbe più mosso. Gli girava la testa e pensieri e sensazioni si confondevano. Provava un forte dolore alla pancia e il malore luccicava nei suoi occhi. Le sue zampe, tra sussulti e convulsioni, si facevano mano a mano più insensibili e si copriva di un sudore freddo: era una frescura dolce e piacevole.
 
Era quasi il tramonto e tre corvi affamati, che avevano sentito l'odore di Pat, gli volavano sopra la testa. Uno di loro scese con circospezione per guardarlo meglio: appena si fu accertato che Pat non era ancora morto, volò via di nuovo. Quei tre corvi erano lì per portargli via i due occhi castani.
 


Jurgen Krause al giro Dolomiti

 

----- Original Message -----
From: ""Jürgen Krause""

To: <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Tuesday, August 03, 2004 10:10 PM
Subject: giro delle dolomiti


> ciao ivana,
>
> come stai? sorry, but my italian words are not good. so i write in
> english. i believe, you understand that. i had a wonderful week with giro
> delle dolomiti, last week. i`m a friend of lorenza stonfer and you made a
> lot of photos from lorenza, me and my friends. i looked at your nice
> homepage and i think you need more time to bring the pictures on your
> homepage. please write me a short info, if i can see the photos on your
> site!
>
> it was very nice to meet you and i wish you a very good time with or
> without your bicycle!
>
> also greetings to your husband!
>
> best wishes,
> jürgen

>


----- Original Message -----
From: Annalisa Loizedda
To: chilometrando@tiscali.it
Sent: Tuesday, October 19, 2004 7:14 AM

Indovinate chi sono?
Annalisa, moglie di quello sciagurato fratello e cognato ultimo maschio della famiglia Melis.  Non ho ancora finito di vedere tutto il sito, ma quello che ho visto fino ad ora è fantastico. COMPLIMENTI !!!!!

Ciao Annalisa


----- Original Message -----
From: maury
To: Chilometrando
Sent: Tuesday, October 12, 2004 11:00 PM
Subject: Re: NUOVI SCRITTI.

Salve, ho potuto ammirare il lavoro da te svolto che acquisisce un sempre più alto significato, completandosi ed arrichendosi di emozioni e forti sentimenti.
Concordo con te sul ritenere assurdo che ancora oggi ci possa essere qualcuno che la ragiona in maniera diversa e quindi innaturale, ne ero convinto prima del mio incidente lo sono ancora oggi a quasi sei anni da quel 20 ottobre del 1998.
Tieni presente che sarà sempre qualcuno che cercherà di avanzare con una strana teoria l'idea che le cose non stanno come noi le vediamo, a quel punto ricorda cosa diceva tua madre e per un momento stringi forte la mano con cui reggi il tuo "mitra" della ragione e della pace, e combatti per quel in cui credi, perché anche se ti può sembrare presuntuoso questo ma tu sei nel giusto solco della vita.
Per farti capire quanto ogni giorno sia difficile fare questo e mantenere la giusta calma, ed agire sempre con quel "mitra" ti allego una lettera che la settimana prossima dovrò presentare al consiglio comunale di Cagliari, fammi sapere cosa ne pensi, io non ti spiego nulla prima e voglio che tu la legga senza sapere più di tanto per sapere quale effetto suscita in te e se capisci da cosa é scaturita. Saluti Un saluto ed un abbraccio a te ed a Giancarlo
Maurizio & Linda. 

- Al Sindaco del Comune di Cagliari Dott. Emilio Floris
- Ai Sig.ri Consiglieri Comunali del Comune di Cagliari
- Ai Sig. Assessori del Comune di Cagliari

Cagliari, 07 ottobre 2004
di Maurizio Atzori

Come ormai mi capita spesso da circa un anno a questa parte, questo martedì mi sono recato in Comune, per assistere allo svolgimento dei lavori del consiglio comunale. Così facendo ho potuto assistere alla vostra discussione su una mozione presentata dal consigliere di maggioranza l’On. Onorio Petrini.
Ed anche questa volta sono andato via dall’aula con una sensazione che riesco a descrivere solamente come un forte “amaro in bocca”.
Riflettendo sulla via di casa, sono stato quasi folgorato, quando ho compreso da cosa era originato questa mia reazione, quasi fisica, che avevo ogni volta che in consiglio comunale si affrontava una discussione che potesse riguardare in qualche misura le problematiche delle “persone” con disabilita.
Questa mia condizione era originata, non da come venivano trattate le diverse problematiche o dalle argomentazioni avanzate dai diversi consiglieri, oppure dalle risposte presentate dagli assessori e dal sindaco, ma bensì dalla svariata ed innumerevole gamma di epiteti usati da quasi tutti quando si parla delle “persone” con disabilita”.
Ci tengo a precisare che questa mia necessità trova ragione d’essere, non nella mia incapacità ad acquisire una coscienza della mia nuova condizione di handicap (svantaggio), che mi impedisce di poter salire le scale di un ufficio sia esso pubblico o privato. Ma nel aver preso coscienza che questa mia condizione di handicap ha origine in un progettista che non ha rispettato una normativa ben determinata, in un tecnico del comune o della ASL che magari non l’ha fatta rispettare, ed in una società che anzi che pensare e progettare il proprio presente ed il proprio futuro per tutti, tende ad emarginare chi non rientra in quegli stereotipi di “normalità” ed a disrciminare.
Sinceramente anche questa volta mi sono trovato ad ascoltare degli interventi, non entrando nel merito dei contenuti espressi, per i quali è stato per me estremamente difficoltoso seguirne il filo logico.
Forse dovuto esclusivamente ad un mio limite personale, ma non comprendevo ad esempio quale legame ci fosse tra un servizio che avrà come fine la divulgazione dei diritti a tutte le “persone” che si troveranno a doverne avere bisogno, con la presunta nostra incapacità nel difendere i nostri diritti, o nello scegliere da chi farci adeguatamente rappresentare, o dalla forte pendenza di uno scivolo fatto per accedere allo stadio.
Proprio durante questa riflessione ho compreso che la cosa che più mi irritava era la maniera in cui molti si dilettavano nello spiegare quali erano le nostre necessità, non riferendosi mai a delle “persone” con disabilita, ma una volta diventavamo “soggetti”, un’altra “pazienti”, un’altra ancora “diversamente abili”, sino ad essere degli sprovedduti facilmente strumentalizzabili.

Come al solito i politici cadono nel loro difetto più diffuso, siano essi di destra, sinistra, centro, alto e basso, che è quello di voler dire qualcosa anche senza conoscere il significato delle terminologie che usano, per non parlare degli argomenti di cui parlano.
Nella maggior parte dei vostri interventi ci si dimentica che, le “persone” devono affrontare quotidianamente delle situazioni discriminatorie non potendo così esprimere i propri diritti.
E queste stesse “persone” si trovano in una condizione di svantaggio (ossia handicap) perché è la società stessa, che come viene organizzata e concepita, tende ad escluderle anziché includerle, con barriere non solo fisiche ma nella maggior parte delle volte mentali e culturali.
Questa situazione non è originata dal essere “persone” con disabilita, sia essa di origine motoria, sensoriale o intellettivo relazionale, ma dalla incapacità della nostra società nel recepire le esigenze di tutte le sue componenti.
Così facendo una persona che malauguratamente perdesse il lavoro, e per una serie di sfortunate coincidenze si trovasse a dover affrontare la società odierna in una situazione di estrema povertà, si troverà in una forte condizione di handicap (svantaggio), entrando di tutto diritto in quella fascia delle “persone” con disabilita.
Naturalmente con le sue necessità e problematiche, che si differenzieranno da quelle di un’altra persona perché ognuno di noi è unico, diverso ed irripetibile allo stesso tempo.
Concludo chiedendovi di ricordarvi che le parole con le quali si indicano le “persone” sono importanti, ed importante è il significato che esse hanno.
Quindi vi esorto tutti ad essere, sempre più attenti e critici, ai rischi di esclusione sociale che una società così complicata come la nostra porta insiti in se stessa, anche con l’uso dei termini sbagliati.
Ma dovrete farlo usando la giusta terminologia, rispettosa delle “persone” a cui ci si riferisce.
Colgo l’occasione per porgervi i nostri più cari e distinti saluti, rinnovando inoltre la disponibilità di tutto il direttivo della Co.A.Di., a continuare quel percorso di stretta collaborazione iniziato con la stesura del regolamento taxi, che ci ha visti ricoprire a pieno in nostro ruolo di consulta del consiglio comunale.

 

 


----- Original Message -----
From: "F Argiolu" <fargiolu@mcweb.unica.it>
To: "Ivana Chilometrando" <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Saturday, December 20, 2003 8:55 AM
Subject: Franca

> Carissima Ivana,
>    tra le tante brutture di questo mondo ci sono per fortuna anche dei
> gioielli preziosissimi: ci sei tu e tutte le persone meravigliose
> sensibili ai dolori del prossimo, ci sono i pazienti che, uno ad uno
> come un puzzle, finiscono per comporre e far parte integrante della tua
> vita.
> Gli auguri più sinceri per le prossime festività. Ti abbraccio,
> Franca
>
> P.S. Complimenti al fotoreporter.


----- Original Message -----
From: <mrdeias@virgilio.it>
To: "taccori" <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Monday, December 29, 2003 10:10 PM
Subject: articolo trapianto

Carissima Ivana,
grazie per la tua puntuale rassegna stampa. ho già stampato ed affisso in
bacheca la foto e mi sono permesso di mettere una didascalia che mette in
evidenza la nostra parte di solidarietà tenendo sempre presente che la sinergia
produce ciò che da soli non sarebbe possibile. c'è chi la chiama solidarietà
appunto,  chi non sa come chiamarla ma fa tanto. ma c'è una parola semplice
che dice tutto, basta pronunciarla con sincerità "amore".
p.s. mi controlli per cortesia la data relativa alla pubblicazione sull'Unione?
perchè il 19 non ho trovato niente.
ciao a presto e di nuovo auguri,
Gianni Deias

 


Maurizio e Linda

 

----- Original Message -----

From: maury
To: Chilometrando
Sent: Thursday, October 07, 2004 9:00 PM
Subject: Re: informazioni atleti presenti triathlon settembre

 

Giusto la scorsa settimana avevo visitato il sito nella speranza di trovare i lavori in corso, ma non c'era ancora nulla. Adesso capisco il perché di tanta attesa, prima della pubblicazione,.
Il commento di Linda é stato "come scrive bene", ed effettivamente sei riuscita a trasmettere delle bellissime sensazioni, che lasciano un dolce sapore dopo la lettura ed invogliano a continuare a lottare ed a prepararsi sempre meglio e con maggiore entusiasmo.
Di sicuro tutto questo non sarebbe possibile se tu non fossi una bella persona, che sa godere delle vere sensazioni che la vita può darci.
Ora basta con gli elogi, altrimenti ti monti la testa e rischiamo di non vederti mai più perché sei finita in qualche angolo sperduto di questo pianeta a scrivere chissà quali storie. Naturalmente scherzo!!!
Note informative: la seconda frazione l'abbiamo percorsa con le "hand bike" (mano bici), e non con le handy bike come hai scritto. Non preoccuparti molti addetti del settore le chiamano come te hai scritto ma il loro vero nome è quello che ti ho indicato.
Per quel che riguarda le nostre future iniziative la manifestazione di cui ti ho parlato é stata spostata per il 12-13/11/2004, ti farò avere ulteriori informazioni come concluderemo il programma della manifestazione.
Un saluto ed un forte abbraccio
Maurizio & Linda.  


Sandrino Porru

----- Original Message -----
From: Sandring
To: chilometrando@tiscali.it
Sent: Saturday, October 30, 2004 9:20 AM
Subject: Sei grande!!!!!!!!!!!!!

 

Carissimi,
ogni giorno è bello scoprire la grandezza dei talenti che il Buon Dio ha posto in ciascuno.
Scusatemi se solo oggi sono riuscito a visitare il vostro sito.
E' grande!!!!!!!!!!!!!
penso che non ci siano parole per esprimere la gioia, la comozione, la gratidudine, la ecc..............
 
Grazie perchè ci siete e sapete donare il meglio di voi.
 
Se tutti, nel nostro piccolo, sapessimo essere dono per chi ci sta a fianco, anche in questo mondo potremo godere un importante assaggio del paradiso che ci attende.
Con affetto e riconoscenza
Sandrino

 

index