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dal 12/1/2008

 


© G.S.Chilometrando

Maratona di New York

4 novembre 2007

Carlo Alberto Melis - inviato speciale "dell'Unione Sarda"

Maratoneta e Ironman

LA GRANDE SFIDA

Alla partenza Stefano Baldini guida i 3.500 italiani da Staten Island a Central Park.
Sbuffando su e giù verso il traguardo: Salite, fatica e la gioia finale: così si corre nella Grande Mela

NEW YORK

Dalla Sardegna, con amore, all'appuntamento con la corsa più amata sui 42,195 km

Come una mamma amorevole che vuole intimorire un bimbo disobbediente, New York prova a fare la faccia brutta. Il tempo è improvvisamente cambiato nella città che domenica accoglierà trentottomila maratoneti di ogni nazione del mondo: vento gelido e temperature precipitate, in pochi giorni, verso gli standard autunnali. Un po’ quello Allenamento al Central Park: Vanessa e Carlo Alberto Melische è accaduto la scorsa settimana in Sardegna, potranno pensare gli oltre sessanta sardi (un centinaio se si contano gli accompagnatori), che ieri hanno raggiunto Manhattan. LA MEDAGLIA. Per tutti, debuttanti e habituée, il tempo sarà l’ultimo dei pensieri. O almeno quello meteorologico, perché a quello cronometrico qualcuno starà molto attento. Anche in una maratona nella quale, tradizionalmente, il livello di competizione è piuttosto sfumato. Pochi sono i top runners, molti gli amatori, moltissimi i principianti. Tanto che, sui quasi quarantamila (ufficialmente 37 mila e rotti) che affrontano i canonici 42,195 chilometri, una piccola ma significativa percentuale di podisti si accontenterà, per lunghi tratti, di camminare. Daltronde, quella di New York è molto più (o molto meno) che una gara di corsa. Somiglia più a una sfida: con gli amici, con gli avversari, con se stessi. Raggiungere quel traguardo è, in fondo, l’unica cosa che conta. Come? Dettagli. In che condizioni? Bazzecole. Ciò che veramente importa e che, giunta sera, si possa chinare il mento e guardare quella medaglia appesa al collo con la commozione che si riserva a un neonato.

 

Central Park: Carlo Alberto e Vanessa in allenamento

 

IL PERCORSO

Prima di poter raggiungere, stanchi ma felici (molto di entrambe le cose), l’albergo, però, ci sono da attraversare i cinque borough di New York. Il tracciato è temuto da tutti, campioni o tapascioni, perché è pieno zeppo di insidie. Saliscendi continui, alternanza di caldo e freddo, vento. Difficoltà che si aggiungono, per i meno veloci alla festosa, ma pericolosa confusione che regna nella "pancia" del gruppo, dove si corre gomito a gomito, dove il rischio di inciampare è costante e la bolgia dei ristori è quasi una tradizione. In realtà il percorso si divide tra Brooklyn (50 per cento) e Manhattan (40), con la partenza a Staten Island e fugaci passaggi nel Queens (poco più di due chilometri) e nel Bronx (meno di due). Alcuni dei tratti più celebri, poi, non sono in nessun quartiere. I cinque ponti rappresentano momenti chiave della corsa. Soprattutto uno: il Queensboro Bridge, che porta a Manhattan, è il più odiato. Per raggiungere il centro dell’East River c’è una salita di un miglio, in gran parte all’ombra, con un vento gelido che sale dal fiume. E quando si scollina, con il muscoli delle cosce in fiamme, mancano ancora 17 chilometri alla fine.

I CAMPIONI

È lì che Stefano Baldini comincia a tremare. Il campione olimpionico ed europeo, che torna nella Grande Mela un anno dopo il sesto posto del 2006, sa che nella discesa verso la First Avenue gli africani imprimono un cambio di ritmo violento. Tanto da rimanerne loro stessi vittime, talvolta. Seguirli? Lasciarli andare? In entrambi i casi il rischio di perdere la gara è concreto. La prova dei "grandi" è entusiasmante (Eurosport la trasmetterà in diretta domenica dalle 15,15) proprio perché imprevedibile sino all’ultima "gobba" di Central Park, dove la folla a bordo strada raggiunge un livello da stadio di calcio. L’anno scorso il brasiliano Dos Santos ci arrivò in beata solitudine: sarà lui a partire con la tabella numero 1. Su quella di Baldini (come di altri tra i 3.500 italiani), invece, ci sarà un messaggio dell’associazione "Nessuno tocchi Caino" per sostenere la richiesta italiana di moratoria internazionale della pena di morte.

DALL’ISOLA

Quello di dare messaggi è quasi un obbligo a New York. Un anno fa i sardi corsero nel nome di Titti Pinna, chiedendo la sua liberazione. Fu "Zigheddu", al secolo Francesco Calledda, a promuovere questa dedica. È lui il decano dei maratoneti sardi, una sessantina quest’anno al via dal ponte Giovanni da Verrazzano. Il gruppo si è assottigliato rispetto alla scorsa edizione, ma resta bene nutrito ed eterogeneo, visto che tutte e otto le province saranno rappresentate.

 

GLI ISCRITTI

Giancarlo Acca (Cagliari, 33 anni), Salvatore Addari (Simaxis, 47), Sergio Alfonso (Alghero, 46), Rossana Allieri Preparativi  inizio gara(Cagliari, 45), Simone Alterio (Lanusei, 33), Carlo Balconi (Cagliari, 57), Gianfranco Bassu (Olbia, 49), Michele Biggio (Cagliari, 56), Jacopo Salvatore Bulla (Muravera, 18), Stefano Cabula (Oristano, 38), Francesco Calledda "Zigheddu" (Aritzo, 69), Enrico Cambuli (Cagliari, 53), Paolo Cardia (Burcei, 39), Erasmo Caria (Alghero, 66), Ottavio Carta (Oristano, 56), Marco Casu (Oristano, 38), Salvatore Casu (Cabras, 42), Andrea Cauli (Cagliari, 45), Antonio Cingolani (Capoterra, 42), Camillo Cogoni (Aritzo, 47), Renato Daga (Aritzo, 49), Benedetto Deriu (Capoterra, 47), Paolo Fadda (Villa San Pietro, 57), Danilo Fadda (Villa San Pietro, 31), Gian Luigi Falchi (Portotorres, 33), Riccardo Falchi (Portotorres, 32), Ennio Fanari (Sinnai, 54), Sergio Fantini (Cagliari, 35), Vitaliano Frau (Mogoro, 48), Pierpiorgio Frau (Cagliari, 33), Sergio Fulgheri (Santadi, 49), Andrea Ghiani (Oristano, 38), Mathias Grandi (Alghero, 27), Pietrino Ibba (Cagliari, 52), Silvestro Ibba (Aritzo, 48), Aladar Bruno Janes (Villa San Pietro, 51), Marco La Luce (Cagliari, 40), Andrea Loi (Aritzo, 50), Riccardo Lupino (Alghero, 53), Mauro Lupino (Alghero, 19), Sergio Mameli (Selargius, 53), Carlo Alberto Melis (Cagliari, 39), Paolo Meloni (Oristano, 35), Mauro Merella (Cagliari, 35), Alessandro Merici (Cagliari, 43), Gianluca Mogni (Muravera, 31), Gavino Felice Murrighile (Olbia, 39), Andrea Oggiano (Sassari, 54) Antonio Perseu (San Basilio, 47), Giovanni Perseu (San Basilio, 50), Salvatore Piga (Tempio, 44), Silvestru Pisu (Zeddiani, 44), Gianluca Quarta (Oristano, 37), Pier Paolo Ragatzu (Monserrato, 58), Mariuccia Rossini (Villa San Pietro, 49), Paolo Nicola Schirru (Selargius, 56), Anselmo Serreli (Capoterra, 40), Costanzo Solinas (Sassari, 49), Serena Taccori (Cagliari, 39), Mauro Tidu (Mogoro, 45), Alberto Trova (Alghero, 20), Bruno Useli (Selargius, 45), Maurizio Vettorazzo (Sassari, 55), Nazario Zucca (Cagliari, 65).


«Quando Lance Armstrong ci superò»

L’abbigliamento giusto: Canottiera e maglietta, poi via sulle strade della Big Apple

Carlo Alberto MelisLa maratona più famosa del mondo NEW YORK. La medaglia è bella, bellissima con il suo nastro blu e arancio e il bassorilievo che raffigura due podisti al traguardo, sullo sfondo dei grattacieli. Indossarla pochi metri dopo l’arrivo in Central Park, riguardarla, tenerla addosso per le strade di New York, tra gli sguardi ammirati della gente: questo è, in gran parte, ciò che giustifica la grande fatica che hanno fatto i quasi quarantamila partiti ieri mattina dal ponte intitolatao a Giovanni da Verrazano. Molti mentre scrivo stanno ancora lottando, altri addirittura saranno ancora sulla strada quando il giornale sarà in rotativa. Per loro ci sarà ancora il pubblico che, anche ieri, è stato il protagonista assoluto lungo i 42 chilometri più ambiti dai podisti di tutto il mondo. New York ha vissuto la sua maratona, festosa, nonostante si sia corsa anche in memoria di Ryan Shay, l’americano morto durante il trials per Pechino 2008, sabato mattina in Central Park e ricordato con un minuto di silenzio (silenzio, non applausi). Per l’America che corre, dopo i morti di Washington e Chicago, un altro segnale di un anno orribile. Ma lo show deve andare avanti e, alle 9,30, siamo già schierati, implotonati in griglie da mille persone, stabilite (con qualche eccezione) sulla base del valore degli atleti. Ogni istante di una giornata infinita, cominciata con la sveglia alle cinque (e meno male il ritorno all’ora legale ci ha regalato la seconda ora di sonno in più nel giro di una settimana), è memorabile. Si arriva a Staten Island, sede di partenza, in pullman tre ore prima del via, perché alle 7 il ponte viene chiuso e nessuno può più passare. L’attesa è scomoda, le file per depositare la borsa con gli effetti personali nei camion che l’Ups porta all’arrivo, diventano a mano a mano più lunghe. La gente dorme in terra, sul prato, sui marciapiedi, nelle tre grandi tende allestite dagli organizzatori. Non fa freddo, c’è il sole, la giornata è ideale per correre e molti scelgono la canottiera come indumento di gara. L'agognato traguardo: 2.57'49"Almeno tra i più veloci. Chi prevede di stare sul percorso quattro o cinque ore preferisce non rischiare. Gli sbalzi di temperatura sono improvvisi e violenti; subire un raffredamento può essere scomodo e pericoloso. Io opto per una via di mezzo, mettendo sotto la canottiera una maglietta sottile e aderente. Scelta che si rivela giusta. Meno giusta quella di partire fortissimo, alla ricerca di un tempo da ricordare a lungo. Un’ambizione naufragata già a un terzo di gara, che non cancella l’esperienza fatta. E, sulla First Avenue, mi ha fatto piacere passare l’ideale testimone di migliore tra i sardi, ad Andrea Ghiani, cuoco trentottenne giunto da Oristano per una giornata di gloria. Per entrambi, proprio sul quel rettilineo dove la gente fa un frastuono continuo e infernale, anche il brivido di essere raggiunti e superati da Lance Armstrong. L’americano stavolta ha corso senza la telecamera davanti, più libero e più sciolto. Sognavo di batterlo, ma ha approfittato della mia crisi come faceva con i rivali quando correva il Tour de France, vinto sette volte di fila. Ho provato a corrergli sui talloni per duecento metri, poi ho deciso che le mie gambe già malridotte non meritavano di essere ulteriormente bistrattate. Ma l’emozione è stata forte, anche se altri atleti me ne hanno date di più intense. Soprattutto i disabili: ne segnalo due. Sul tremendo ponte di Queensboro, due Medaglia dal sapore straordinario "New York, New York.atleti africani, passo agile, polsi legati con una cordicella e scritta inquivocabile: Seeing is believing, vedere è credere. Non so chi dei due fosse cieco, so che andava forte. L’altra sulla discesa verso il Bronx: un uomo su una carrozzella, l’espressione contratta dalla fatica e da una di quelle malattie che minano la dignità dell’uomo. Spingeva la carrozzella, in senso contrario, con due gambette malferme. La gente applaude tutti, ma alcuni li incita in modo talmente coinvolto da sembrare perfino eccessivo. Quest’anno io ho corso con una maglia azzurra con uno scudetto tricolore e il nome scritto bene in grande sul petto. Un successo. Correvo e sentivo la gente chiamarmi per nome, gente di ogni nazione, non solo italiani. Qualcuno sembrava conoscermi, essere lì apposta per me, tanto le sue parole erano dirette e sentite. Mi voltavo, credendo di trovare una faccia amica, ma erano perfetti sconosciuti. Così New York rinnova la sua magia, così può far sentire importante anche chi ha dovuto correre metà gara con i muscoli doloranti, il terrore di crampi e il morale sotto i tacchi. Per questo tagliare il traguardo sembra sempre un gesto da dedicare anche ad altri, oltre che a se stessi. E io, nel mio piccolo, ho voluto dedicarlo a un giovane amico, Mario, che oggi ha tagliato il traguardo dei 25 anni. Ultimamente non se l’è passata bene, ma anche lui ha lottato con coraggio per poterci arrivare. È la sua medaglia, splendente come quella della Maratona di New York.
Il racconto della maratona più celebrata del mondo, dalla sveglia prima dell’alba fino all’arrivo.
La vincitrice Paula Radcliffe avvolta nella bandiera inglese.



Dal Poetto (Cagliari) di corsa alla Grande Mela


Il pm, il consigliere, il veterano: storie di sudore e felicità

Chi sono i cento sardi ai nastri di partenza della più spettacolare manifestazione podistica del mondo

C’è un altro modo per andare a vivere l’emozione della maratona di New York. Non è necessario correre, perché attendere il passaggio a bordo strada può racchiudere gli stessi significati. Così la pensa Anna Rita, che un anno fa aspettava suo marito Camillo Cogoni dietro una transenna di Central Park, 400 metri prima di quella linea che sovrasta i desideri di ogni podista. Le sarebbe piaciuto correrla, stavolta, ma un’infiammazione glielo ha vietato: «Non importa», sorride, «perché stare tra il pubblico è una cosa meravigliosa. Chi corre non si rende conto di che razza di coinvolgimento ci sia degli spettatori. Ho assistito a scene bellissime, ho visto corridori arrivare al traguardo in lacrime, per l’emozione o per la fatica.
Uomini sfiniti, sorretti dagli inservienti negli ultimi metri o altri cercare il proprio bambino tra il pubblico, caricarselo sulle spalle e portarlo all’arrivo».
IMPIEGATO POSTALE. Eppure, anche per fare da spettatrice, ha condiviso volentieri con il marito l’idea di lavorare un anno intero per potersi permettere la trasferta in America. Camillo, impiegato delle poste di Ortueri, sarà l’unico residente della Provincia di Nuoro (di cui è anche consigliere) al via. Pur non essendo un campione, nelle due precedenti esperienze ha sempre progredito. Per certi versi si sente come i keniani, gli uomini degli altipiani: «Mi alleno sempre sopra quota mille metri di altitudine, correndo da solo, nei boschi. Quando questa estate il Tavolata ha effettuato la preparazione ad Aritzo, Pusceddu mi ha chiesto di insegnargli il percorso e la squadra andava a correre su quegli stessi sentieri».
ARITZO. Proprio Aritzo è il paese più rappresentato, a dispetto dei suoi 1500 abitanti: otto tra aritzesi doc e acquisiti, sono sbarcati ieri, con il folto gruppo di Terramia. Non a caso a guidarli c’è Francesco Calledda, il leggendario Zigheddu, alla settima partecipazione alla maratonadinuiork. Il sessantanovenne pensionato ha un pensiero per Pietro Cariello, morto un anno fa, quando aveva già perfezionato l’iscrizione alla gara: «Sette maratone, come lui. È un grande onore».
SETTE VOLTE. Un onore da condividere con Mino Caria, algherese, che nel 1988 disputò per la prima volta la corsa dei cinque borough. Tra i pluripresenti a New York, con cinque gettoni, Andrea Oggiano, di Castelsardo, che va per la sesta: «La più bella? Quella del 2001. C’era appena stato l’attentato alle torri gemelle. Uomini dell’Fbi dappertutto, enormi camion con sacchi di sabbia contro le autobomba. Eppure, mai come allora la partecipazione della gente fu così calorosa».
I CENTO. New York è per molti un dolce ricordo, per altri un miraggio. Esordienti e veterani si mischiano nella carovana dei quasi cento sardi, oltre sessanta dei quali saranno al via, emozionati allo stesso modo, domenica mattina (le 16 in Italia) dalla riva di Staten Island. Chi sul ponte da Verrazano c’è già stato fa di tutto per tornarci, anche se il prezzo è alto. Terramia, il tour operator più celebre, sebbene non l’unico, chiede oltre duemila dollari per il pacchetto classico, che comprende tutto, pasti esclusi.
TUTTO COMPRESO. Andare a New York per la prima volta non è semplice. Partecipare ala maratona presenta piccoli problemi logistici (soprattutto gli spostamenti) che richiedono un dispendio di energie che il maratoneta evita volentieri, se c’è chi se ne occupa per lui. Tornando agli esordienti, chi ama correre non
c’è posto dove vorrebbe cimentarsi nella distanza di Maratona più di questo, almeno una volta. «È come
con le donne», sorride Gianluigi Falchi, che si cimenta sui 42,195 km più famosi del pianeta per il terzo anno consecutivo, senza aver mai provato altre maratone, «Quando esci con Claudia Schiffer poi fai fatica ad adattarti alle altre. E New York è il massimo che c’è», conclude il 33enne imprenditore sassarese, presidente della Silver Portotorres di basket (B1 maschile).
SCARPE DA CORSA. Al suo fianco, l’amico Riccardo Falchi, 32, carabiniere a La Maddalena ed ex ala-pivot del Sant’Orsola (B2), condivide con lui la doppia passione per il canestro e le scarpe da corsa. Si allena quando può, talvolta, quando monta di guardia sull’isola di Tavolara, percorre di corsa, con una torcia in mano, i sei chilometri dell’angusto tunnel che conduce da Punta Timone a Coda di Terra: «Sono venuto l’anno scorso e mi è piaciuto moltissimo.

NEW YORK

La corsa è come una malattia esantematica

Se te la prendi da bambino è meglio, anzi, finisce per rafforzarti. Tutto sommato è una cosa naturale. Ma se il virus ti prende da adulto, allora puoi star certo che sarà in forma grave. Perché correre è bello, ma competere è ancora più seducente, soprattutto per chi non avrebbe mai sospettato di potersi spillare sul petto un numero e tagliare un traguardo. Trovarsi, giorno dopo giorno, coinvolti negli allenamenti, negli appuntamenti all’angolo della strada, nei gesti ripetuti, nei tempi annotati prima mentalmente poi magari su un quaderno, nell’organizzazione di trasferte, produce una sensazione di ritrovata giovinezza che - non si può negare - è spesso ciò che una persona ricerca. Soprattutto se in età giovanile non ha provato il brivido dell’agonismo. Io sono tra queste persone e sono, come altri sessanta e passa sardi, a New York in pellegrinaggio. Per la seconda volta. Perché questo non è un posto dove una simile sindrome si possa sperare di guarirla. Tutt’altro. La voglia di correre, di correre la maratona, distanza classica, se non leggendaria, di farlo nella situazione più confortevole, trova in questa città la sua risposta più appagante. La maratonadinuiorc è un evento unico e perché lo sia diventata è subito intelleggibile appena ti ci avvicini. Il che è molto diverso dal guardarla in televisione o sentirne parlare. I suoi ingredienti sono esplosivi perché chi la organizza sa che ha per le mani un prodotto vincente e come tale sa presentarlo, perché la gente che la accoglie sa a sua volta sfruttarla per ciò che è, cioè una grande occasione per incassare del denaro, perché chi la corre accetta di intepretarla come un grande show, facendo la sua parte per garantirne la riuscita. Stamattina (ieri, ndr), all’apertura del quartier generale della Ing New York City Marathon, al Jacob K. Javits Center, sulla riva dell’- Hudson, Manhattan, l’atmosfera era già elettrica, i partecipanti arrivati mercoledì sera si sono messi in fila sorridenti ed eccitati per ritirare il pettorale di gara, primo adempimento di un cerimoniale organizzato nei minimi dettagli. Per capirci, io ho preso la maglia ufficiale, contenuta nel pacco gara (quello dove si trovano i piccoli omaggi dei tanti sponsor), e l’- ho misurata: era grande e avrei voluto cambiarla. Ebbene, c’è un banco dove un’addetta si occupa esclusivamente di questo: cambiare le maglie agli atleti che hanno sbagliato taglia. Perché nessuno vuole che l’atleta sia imbronciato, contrariato o deluso. Anche perché non è lo stato d’animo ideale per entrare, dieci metri più in là, nell’expò. In questo padiglione tutto è allestito per continuare a mungere i partecipanti, in preda alla loro euforia newyorkese. È l’apoteosi dello sport commerciale e turistico, quello nel quale gli atleti non sono pagati, ma (a parte alcune stelle) pagano anche per portarsi a casa un souvenir ulteriore, rispetto alla medaglia che si conquisteranno domenica a Central Park e alle mille emozioni che vivranno. Ma è per fissare meglio la memoria di queste ultime, oltre che per esibire con orgoglio la partecipazione alla maratonadinuiorc, che tanti spendono volentieri tutti quei dollari. New York è sempre e comunque unprivilegio.
C’è sempre tanto da scoprire a New York e, anche se non corro per il cronometro, vorrei cercare di andare sotto le quattro ore. Ma soprattutto voglio battere Linus: mi sono rotto le p… di sentirlo parlare dei fatti suoi alla radio!».


Se la corsa è contagiosa,

al palazzo di Giustizia di Cagliari si è diffusa un’epidemia negli ultimi anni.

Rossana Allieri, 45 anni, pubblico ministero, è "malata grave" dal 2002, morbo contratto durante una corsa campestre, campionato forense. A New York, dove è già stata nel 2005, festeggia la decima maratona. A vederla, bionda e minuta, non si direbbe quale grinta nasconda: «L’altra volta ho corso con un’ernia inguinale, senza saperlo. Piangevo dal dolore ma il pubblico mi ha trascinato sino al traguardo. Ho fatto Londra, Berlino lo scorso 30 settembre, ma anche Roma e Reggio Emilia e purtroppo devo dire che all’estero la gente è un’altra cosa. Per questo ho paura che non riuscirò mai a correre una maratona a Cagliari».
LA GENTE. Il suo inseparabile compagno di allenamenti, Nazario Zucca, annuisce. Perché la gente è una componente fondamentale di chi corre e ha bisogno di essere capito, sostenuto, magari applaudito, come spiega Carlo Balconi, avvocato cagliaritano, 56 anni, debuttante a New York: «Ho scoperto la magia dell’applauso», spiega, «anche se il coraggio di correre una maratona me l’hanno dato le parole di Pietro Cariello, che mi è apparso un giorno all’improvviso, durante una gara. Per me lui era l’angelo della corsa».
IL FIGLIO. Di angeli, domenica, ce ne saranno milioni sul percorso. Per guardare lo spettacolo, d’accordo, ma soprattutto per fare la loro parte, sostenendo in ogni modo i maratoneti. «È quello che mi aspetto», dice Anselmo Serreli, (Mino per tutti) uno dei tre podisti di Capoterra al via, assieme ad Antonio Cingolani e Benedetto Deriu, «perché per me questi appuntamenti sono soprattutto l’occasione d’incontro tra tanti popoli diversi. Perciò ho portato mio figlio Kevin, che ha 11 anni.Voglio trasmettergli questa lezione, ma voglio che la impari senza che io gli dica niente, soltanto rendendosene conto da solo». Mino ha una piccola concessionaria di auto e da sette anni risparmiava per coronare il suo sogno: «La gente spende un sacco di soldi in cose inutili, in vizi. Io non fumo e non bevo, ma ogni giorno ho messo da parte qualche euro come se lo facessi e finalmente eccomi qua».
69 ANNI. Se Zigheddu è il più anziano, con i suoi splendidi 69 anni, la palma del più giovane spetta invece
a Mauro Lupino, 19 anni e dieci mesi, sassarese, studente di medicina. Fosse una gara breve sarebbe l’uomo
da battere. Ma in maratona l’esperienza e la maturità fisica contano più della freschezza atletica. Poco importa, per lui e per gli altri New York sarà comunque indimenticabile.


 

I SARDI ALL’ARRIVO


La partenza della Ing New York City Marathon, domenica scorsa dal ponte Verrazano-Narrows, a Staten Island

Cinquanta hanno tagliato il traguardo. Qualcuno ha impiegato ben sei ore.

Dalla sveglia cinque ore prima del via alla lunga fatica sino in Central Park
NYC MARAT H O N 2 0 0 7


La gara passa in secondo piano. L’aspetto sportivo è sempre quello meno rilevante a New York. Scompare
di fronte alle sensazioni di un’esperienza sempre unica, sempre coinvolgente sul piano emotivo. Tra i migliori sardi, Sergio Fulgheri, da Santadi, non riesce a gioire: «La mia dedica è per Armando Mandaresu, che se n’è andato sabato, alla vigilia della gara. Una persona straordinaria, un grande podista, più volte campione d’Italia master. Era il mio allenatore». «Sono tornato per la terza volta, perché soltanto qui puoi provare certe emozioni», sottolinea l’aritzese Camillo Cogoni. «Ci tornerò per la settima volta», assicura Paolo Cardia, da Burcei. Paolo Ragatzu, alla settima maratona del 2007, era alla quarta esperienza a Central park: «Ma le emozioni non si stemperano mai. I rifornimenti erano carenti, mi ha aiutato la gente», racconta: «Nel Bronx un bimbo mi ha offerto un chupa chups». Già il pubblico: «In Italia quasi ti insultano», dice Andrea Loi, «qui ti trascinano. È un apartecipazione vera, sincera. Credo che tornerò». «New York», sottolinea il dentista originario di Calasetta, Michele Biggio, «ti insegna che è partecipare, non vincere, la cosa più importante. la cosa più bella? Uscire dal Queensboro Bridge, ponte bellissimo ma buio, e rivedere la luce e la folla che grida». Infine il deputato Paolo Fadda, che si è migliorato rispetto a un anno fa: «L’aspetto più importante è la socializzazione, la condivisione della fatica con gli altri, dopo tanti allenamenti solitari».


Emozioni indimenticabili per la pattuglia isolana.

Il migliore fra i Sardi é Andrea Ghiani, cuoco di Oristano, porta a casa la medaglia ideale.


? 378° Andrea Ghiani (Oristano, 38) 2.51’44"
? 628° CarloAlberto Melis (Cagliari, 39) 2.57’39"
? 631° Sergio Fulgheri (Santadi, 49) 2.57’42"
? 1172° Salvatore Addari (Simaxis, 47) 3.06’16"
? 1844° Giancarlo Acca (Cagliari,33)3.14’12"
?2072°GianlucaQuarta(Oristano, 37) 3.16’08"
? 2136° Camillo Cogoni(Aritzo, 47) 3.16’42"
? 2410° Renato Daga(Aritzo, 49) 3.19’05"
? 4447° Ottavio Carta(Oristano, 56) 3.32’04"
? 4637° Antonio Perseu(San Basilio, 47) 3.33’08"
? 4640° Giovanni Perseu(San Basilio, 50) 3.33’08"
? 4650° Alessandro Merici(Cagliari, 43) 3.33’15"
? 5484° Pier Paolo Ragatzu(Monserrato, 58) 3.37’26"
? 5795° Vitaliano Frau(Mogoro, 48) 3.38’53"
? 6728° Salvatore Casu(Cabras, 42) 3.43’08"
? 7235° Riccardo Falchi(Sassari, 32) 3.45’12"
? 7590° Gianfranco Bassu (Olbia, 49) 3.46’35"
? 7705° Costanzo Solinas (Sassari, 49) 3.47’05"
? 8501° Andrea Cauli(Cagliari, 45) 3.50’04"
? 8658° Gavino Felice Murrighile(Olbia, 39) 3.50’41"
? 9151° Paolo Fadda(Villa San Pietro, 57) 3.52’30"
? 9926° Nazario Zucca(Cagliari, 65) 3.54’46"
? 11944a Rossana Allieri (Cagliari, 45) 4.00’25"
? 12435° Maurizio Vettorazzo (Sassari, 55) 4.02’07"
? 13127° Mauro Tidu (Mogoro, 45) 4.04’26"
? 13769° Sergio Mameli (Selargius, 53) 4.06’45"
? 13868a Serena Taccori (Cagliari, 39) 4.07’06"
? 13938° Michele Bigio (Cagliari, 56) 4.07’23"
? 16459° Andrea Oggiano (Sassari, 54) 4.15’21"
? 16880° Mino Serrali (Capoterra, 40) 4.16’39"
? 17244° Gian Luigi Falchi (Sassari, 33) 4.17’38"
? 19571° Franco Carlo Mereu (Aritzo, 66) 4.24’59"
? 20146° Silvestro Ibba (Aritzo, 48) 4.26’50"
? 23060° Andrea Loi (Aritzo, 50) 4.36’08"
? 23491° Mathias Grandi (Alghero, 27) 4.37’33"
? 23856° Carlo Balconi (Cagliari, 57) 4.38’51"
? 23885° Gianluca Mogni (Muravera, 31) 4.38’59"
? 24858° Salvatore Piga (Tempio, 44) 4.42’21"
? 26145° Ennio Fanari (Sinnai, 54) 4.46’48"
? 26155° Francesco Calledda (Aritzo, 69) 4.46’59"
? 27707° Enrico Cambuli (Cagliari, 53) 4.52’28"
? 27787° Benedetto Deriu (Capoterra, 47) 4.52’47"
? 29858° Marco Casu (Oristano, 38) 5.00’59"
? 33397° Paolo Nicola Schirru (Selargius, 56) 5.23’34"
? 33750° Antonio Cingolati (Capoterra, 42) 5.26’25"
? 33851° Sergio Fantini (Cagliari, 35) 5.27’22"
? 34153° Riccardo Lupino (Alghero, 53) 5.29’40"
? 35686° Aladar Bruno Janes (Villa San Pietro, 51) 5.46’54"
? 37192° Mauro Lupino (Alghero, 19) 6.17’06"
? 37226° Paolo Cardia (Burcei, 39) 6.18’11"

 

C’è sempre da imparare dalla Maratona, corsa crudele e affascinante.

Ce n’è ancora di più a New York, dove la gara sui 42,195 chilometri ha trovato la propria capitale. Si può imparare come correre, risparmiando nella parte iniziale per non pagare dazio nella seconda. Dal pubblico si può imparare il rispetto, che in Italia nello sport è spesso negato perfino al secondo classificato. Rispetto per tutti, anche per chi per un giorno si impadronisce di una città. Dai tanti disabili si può capire cosa sia la voglia di vivere, anzi, quali siano le cose importanti nella vita. Dagli americani, che per molte cose sono anche - e giustamente - criticati, si può imparare come si organizza un evento. E, lezione utilissima ai sardi, come si promuove il turismo in tutti i modi, anche attraverso lo sport.

 


New York, dall’Alba allo Zigheddu
Piccolo dizionario per capire la maratona più famosa

Quante lezioni nella capitale dei 42,195 km


La maratona è un mondo a parte: 42,195 chilometri dove può succedere di tutto. Ecco un piccolo dizionario per capirci qualcosa. come A alba: ci si alza alle 5 per essere al via prima che il ponte di Verrazzano (alle 7) venga chiuso. Tre ore e 10’ prima del via. Un’attesa interminabile. come B Baldini. Alla partenzatifo e cori tutti per lui. Da parte degli stessi maratoneti italiani, pronti a scattare alle sue spalle. Ha chiuso al quarto posto. C come Central Park, dove la corsa finisce, dove la folla trabocca, dove la strada presenta saliscendi da piangere. È il Valhalla dei maratoneti, da Dustin Hoffman in poi. D come deputati. Il sardo Paolo Fadda ha vinto il duello con Daniela Santanché. Entrambi hanno corso mostrando il tricolore: sul petto il primo, dipinto sulla guancia la seconda. F come finish line, il traguardo: per 40 mila persone è, per alcune ore, l’unica ragione di vita. Quando lo tagli dimentichi fatica, dolore e sacrifici. G come gente. Ce n’è dappertutto: hanno cartelli, fischietti, spicchi d’arancia, banane, fazzoletti di carta, chupa chups da dare agli atleti. E incitano tutti, per tutto il giorno. H come handicap: nessuno sembra essere sufficiente per farmare chi vuole competere. È anche e soprattutto la sfida del coraggio. I come italiani: oltre 3200 all’arrivo, quasi un decimo del totale. I più numerosi dopo gli statunitensi. K come kenyani. Ha vinto ancora uno di loro, Martin Lel, già primo a Londra. L come Lance Armstrong. È tornato, si è migliorato di 13 minuti, ha dimostrato di essere - nonostante tutto - ancora un personaggio vincente. Soprattutto per il suo sponsor. M come Marsi Street, quartiere ebreo, a Brooklyn, M L K l’unico dove nessuno fa il tifo a bordo strada. N come New York, New York, sulle cui note scatta la gara da Staten Island. O come organizzazione, quella dei New York Road Runner. Mostruosa, ma non impeccabile, almeno stavolta. P come ponti. Cinque, uno più insidioso dell’altro: pri- P ma salita, poi discesa. E non è detto che sia peggio la prima. Q come Queensboro Bridge, il punto critico della gara, una salita di un miglio al 25° chilometro. R come rifornimenti: solo liquidi, una pecca non da poco. S come Staten Island, il quartiere di partenza. Già, ma chi se lo ricorda? T come tour operator: Terramia, Born 2 run ed Eis quelli italiani. Ma (pettorale a parte) con il "fai da te" si può risparmiare molto. U come United Nations, dalla cui sede scatta la Friendship Run del sabato, vera festa di popoli. V come velocità. Espressa in minuti per miglio: guai a sbagliare ritmo. la maratona non perdona. W come wow!: non ci sono altre parole per descrivere l’ingresso nella First Avenue. Y come yellow brachelet, il braccialetto giallo di caucciù con la scritta Livestrong che sostiene la Fondazione di Armstrong contro il cancro. Costa un dollaro, ce l’hanno tutti. X come extra large: tutto è di dimensioni gigantesche a New York. Anche la fatica. Anche la gioia. Z come Zigheddu. Francesco Calledda, 69 anni, bandiera dei Quattro Mori al vento, ha chiuso la sua settima maratona.

C.A.M. L'Unione Sarda, novembre 2007