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dal 12/1/2008


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Da Firenze a Londra in Bicicletta

dal 23 novembre al 3 dicembre 1998

racconto di Ivana Taccori

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Chi ha sentito parlare del raid Firenze Londra? Dovevamo essere in dodici: sei uomini e sei donne. Siamo partiti in otto: quattro uomini e quattro donne, più un angelo custode che ha guidato la macchina d'appoggio, ovvero il mitico scudo blu stipato di borsoni pieni di indumenti caldi, divise di ricambio, scatoloni pieni di viveri per foraggiare la squadra durante le tappe. Otto ruote. Due bici di riserva e la mitica scaletta grigia d'alluminio che nessuno sapeva mai dove stipare.Più tanta, tanta voglia di riuscire nell'intento.


Bene. Per chi non lo sapesse, il raid Firenze-Londra è un'iniziativa benefica ciclistica denominata "Bicicletta Challange" che ha lo scopo di raccogliere fondi a favore dell'Ospedale pediatrico Meyer di Firenze per la realizzazione di un Centro Medico Sportivo per adolescenti.

 

Un centro specializzato soprattutto in cardiologia e fisiopatologia respiratoria, dove potranno essere esaminati in maniera approfondita tutti i ragazzi italiani e non, ritenuti inidonei allo sport nei primi controlli di routine, e stabilire se davvero per quei bambini è preclusa o meno la strada della pratica sportiva. Inoltre, la bicicletta Challange ha fatto sì che si creasse un gemellaggio e un rapporto di collaborazione nel campo medico e delle conoscenze con l'ospedale Londinese: il Great Ormond Street Children's Hospital. L'obiettivo della squadra è di riuscire a raccogliere 250 milioni di lire per il Meyer…


1800 km o 1700 km? (chilometro più chilometro meno) divisi in 12 tappe, dal 23 novembre al 3 dicembre 1998.


Il 23 novembre 1998, la città di Firenze si sveglia con una temperatura di '0' gradi. L'inverno è in netto anticipo. La squadra della bicicletta challange è riunita in Piazza della Signoria, sull'Arengario di palazzo Vecchio, salutata dal sindaco Primicerio, il Console britannico Griffiths, il direttore del Meyer, Bernabei, che consegnano alla squadra i plichi contenenti una dichiarazione dei diritti dei bambini che dovranno essere sottoscritti dalle città gemellate "REIMS" e "CANTERBURY". La piazza è gremita di curiosi, fotografi, cineoperatori, sponsor, ciclisti, bla bla. Ci si prepara alla partenza… Una donnina dal passo incerto e dal volto altero consegna al Capo gruppo (nonché promotore e direttore tecnico della Bicicletta Challange) Marco Ceri un enorme vassoio di dolci dichiarando: "gli ho fatti io e i miei 89 anni… vi serviranno per il lungo viaggio... che il cielo vi aiuti!".


C'è anche il fornaio che carica sul piccolo pulmino un bustone di panettoni e pane fumante, formaggi, succhi di frutta, acqua… cerca di non lasciare trasparire la sua preoccupazione... ma non è abbastanza abile. Si volta, ci guarda tutti uno per uno e ci regala una sua benedizione mentre nell'aria aleggia il dolce suono della banda musicale, e il cielo, per

 

non essere dammeno si fa sentire mandando giù qualche soffice fiocco di neve.
Si parte. Ci lasciamo alle spalle Firenze, la sua gente, la sua generosità.
Un gruppo di ciclisti accompagna la squadra per un lungo tratto. Prima tappa: 168 km.
Destinazione Reggio Emilia. Un forte vento si fa subito sentire agitando le fronde degli alberi. Soffia contrario. Poi di fianco. Poi si placa. Poi si sale. Si sale ancora.

C'è un'aria allegra, complici gli amici venuti al seguito, con l'intento di allontanare i preoccupanti pensieri.

Poi la natura ci viene incontro festosa srotolandoci un bianco tappeto di neve. Dio mio, la neve! Dio mio… gli Appennini ! ...Si sale. Si sale, mentre la neve viene giù. Il silenzio cade tra di noi per la riverente ammirazione del panorama imbiancato che si offre ai nostri occhi.

 

Per me che vivo a Cagliari è un evento magico. Incoscientemente mi scopro occupata a godermi l'incanto. Altri commentano preoccupati… "questa neve viene giù con troppa generosità. Fa freddo. Molto freddo. Nessuno si lamenta. Le ore del tempo corrono veloci, incuranti del nostro disagio. Mentre io imploro la luce del giorno a stare a lungo con noi. Finalmente si scollina ...ecco Monte Piano… ci si ferma in un bar per una cioccolata calda. Stentiamo a riconoscerci noi della squadra. Siamo otto divise ripiene da otto corpi, dove all'altezza del casco sotto un passamontagna si intravedono occhi carichi di interrogativi: ce la faremmo? Ce la faranno? Tolti i caschi e i

passamontagna i nostri sguardi si incontrano.

 

La cioccolata viene giù che è una benedizione.

I ciclisti che ci hanno accompagnato ci salutano e ci abbracciano forte. Qualche lacrima viene giù. Forse no. E' solo un fiocco di neve che si scioglie, attraversa il viso e va giù sino al cuore. Gli amici devono fare a ritroso 70 km. Noi altri 100. Ma in quelle salite è già nata l'amicizia.
Rimaniamo in nove. Chi siamo? Gli uomini si conoscono bene. Sono tutti fiorentini. Luigi Brilli, ferroviere, ciclista mancato per una brutta contrattura offre la sua collaborazione facendoci d'autista. Marco Ceri "il grande", "l'ideatore", "il Promotore" svolge la professione di antiquario, Pietro Pecchioli artista del legno, scultore, decoratore; Guido Camicciottoli e Giancarlo Caroli artigiani raffinatissimi. Tutti con l'esperienza del raid già vissuta il precedente anno, con le sacche al seguito della bici e sulla testa il cielo di luglio. L'altra metà del cielo invece è composta da Alessandra Angioi di Massa, Lorenza Stonfer di Trento, Marisa Guglielmetti di Milano e Ivana Taccori di Cagliari, tutte impiegate esclusa Marisa che nella vita si dà da fare a cogliere i primi vagiti di coloro che si apprestano a conoscere la luce del sole. Fa l'ostetrica.

Non ci conosciamo abbastanza per entrare in confidenza. Siamo ancora guardinghe. Ci scrutiamo. In precedenza c'eravamo sentite qualche minuto per telefono. Poi ci siamo viste in luglio a Firenze all'arrivo della squadra inglese e durante una conferenza stampa. In quella occasione salimmo tutte

insieme a Fiesole in bicicletta…

fu bellissimo! Non sono preoccupata.

 

So di certo che ci unirà la grande passione per la bicicletta e il profondo significato dell'impresa.


"Si deve ripartire subito prima che ci si abitui al tepore interno e svanisca il coraggio di affrontare il gelo. Usciamo e stentiamo a riconoscere le bici. Sono quasi completamente ricoperte di neve. Ci apprestiamo a disseppellirle. Nel cambio si è formato il ghiaccio. Le tacchette non si incastrano ai pedali. Bisogna battere forte e frantumare gli strati di ghiaccio. Pedaliamo con molta attenzione.

C'è una lunga discesa che ci costringe a procedere con lentezza per non cadere. Io cerco di seguire il rigagnolo che formano le bici che mi precedono.Ho freddo alle mani. Non sento più le dita. Voltandomi vedo Lorenza che infila le dita alla bocca per scaldarle col fiato. La discesa finisce, si pedala per Castigliondei Pepoli con la neve che imperterrita continua a venire giù. Finalmente lo Spazzaneve. Ma provvede nella corsia contraria.

 

Ed ecco una macchina! …e tutti a godere del tepore illusorio che emana unmotore.

La discesa ti ghiaccia ma la salita ti crea persino arsura per la fatica. Premo forte la borraccia per fare uscire un filo d'acqua ghiacciata, poi come un miraggio, scorgiamo la macchina d'appoggio. Luigi ci segnala coi fari che dobbiamo fermarci. Un solo istante per offrirci un sorso di bevanda calda. E' la salvezza. Si va e si va. Ci si fruga nei taschini alla ricerca di cibo. Si butta dentro ogni cosa. Occorre bruciare più carburante possibile. Il corpo non deve freddarsi.

Più in là, smette di nevicare e mentre avanziamo il mantello di neve si ritira e riappare il grigio dell'asfalto della strada infinita. 50 km. ancora. Ci regaliamo una breve sosta, per mangiare e far pipì. Reggio Emilia! Reggio Emilia ! Forse arriviamo. Arriviamo che è notte fonda perché nessuno è riuscito a trattenere la luce del giorno .

 

Seconda tappa Voghera. Poi Torino dove ci viene incontro di nuovo la neve. Si pedala verso le Alpi. Il freddo mi assale e mi riduce in un fuscello tremante. Guardo lontano verso la linea del tramonto e un cielo plumbeo si unisce alla montagna ed io penso e ripenso alle speranze racchiuse nel volto dei bambini che attendono. Ce la faremo. Ne sono certa.

Mi volto, a cercare lo sguardo di chi mi segue, cercando di carpire i pensieri. Sento una grande stretta al cuore nell'incrociare due occhi dallo sguardo incoraggiante. Mi sento forte. Questa grande tangibile umanità la vedo già a Londra. Sono trascorsi tre giorni. Tre eternità per comprenderci e volerci bene. A Susa ci informano che il passo del Moncenisio è chiuso per ghiaccio. Non ci danno alternativa e ci si organizza per salire sul treno sino a Modane.

Siamo in Francia! Si pedala con la strada ghiacciata sino a Sant Janne de Maurienne paese bellissimo. Si prende possesso delle stanze, in albergo, una caldissima doccia. Si fa il bucato e si stende tutto e subito sui termosifoni e ci si concentra tutti in una stanza a chiacchierare e a brindare. Poi, tutti lindi. Tutti dentro alla nostra divisa da riposo (grazie sponsor). Si va a mangiare; la cena? Il momento più bello... "Buona Notte.

Domani tutti in piedi alle sette. Sette e trenta colazione. Le bici tutte a destra. Partenza alle otto. Ed io grido: voglio la mamma!!!!…" Vado a letto.

Divido la stanza con la mia inseparabile compagna Alessandra e le sue manie. Immancabili la borsa dell'acqua calda per non so dove (in quanto in camera c'è un caldo estivo) e la borsa del ghiaccio per il suo ginocchio destro. Poi squilla il telefonino e prima che le batterie si scarichino riusciamo a trovarlo tra la marea di cose che in un batter baleno è riuscita a spargere nella stanza trasformandola in un mercatino delle pulci.

 

C'era di tutto, dalle immancabili arance e mele, agli oli e cremine varie, al golfino piumato con su gli yogurt alla frutta. Il primo giorno mi ha spaventata. Il secondo meno. Il terzo le ho voluto bene.
Tanto tantissimo. Era autentica. Era così come la si vedeva immersa in un mondo tutto suo pronta a lasciar spazi a chi le chiedeva di entrare... Mi ami? ma quanto mi ami? Mi pensi? Ogni notte così… faceva il sunto della situazione attraverso le onde dell'inseparabile telefonino, mandava tremila baci poi la comunicazione si interrompeva ed io finivo di pensare ai miei cari: Cielo..! gli avrei rivisti? Sarei sopravvissuta?

Ci addormentiamo stecchite appena sfioriamo il cuscino per poi svegliarmi di soprassalto al grido "In piedi, sono le sette!!!"

Ed io urlo angosciata: Chi è stato a rubarmi le ore?"


Apro la finestra e scopro che siamo state murate. Dio! Il panorama non c'è più! Poi capisco: "Era la nebbia". In bagno spetta a me. La colazione. La divisa da indossare. Il passamontagna. Il casco. I guanti da neve. I bagagli da caricare. Il controllo delle bici. Le bici tutte a destra (non capirò mai perché). Sono le otto meno due minuti. Si parte. Le tasche delle nostre divise gonfie di viveri. Un attimo!!! Mi scappa la pipì.

Il pulmino è stracarico di neve, ci raggiungerà poi per un ennesimo the caldo. Forse un panino. Un dolce. Una frutta. Chissà . Tutto al volo. Con questo freddo non ci si può fermare.

Si va piano per il ghiaccio. L'asfalto in Francia è rugoso e la fatica è maggiore. Marisa ci tiene su il morale raccontandoci le disavventure di pippo, il maiale che si ostina a traghettare sul manubrio.

E' alto 5 centimetri, è di gomma color rosa è ha una bandana che gli copre l'occhio destro. E' il nostro porta fortuna. Cantiamo sotto ai nostri passamontagna. La squadra è un'unica forza. Una meta, una sola: Londra!


Raggiungiamo Belley, pernottiamo in un bellissimo convento.

Poco distante siamo ospiti in una distilleria di liquori d'erbe di famosi frati; la sbornia è assicurata. La mattina dopo troviamo di nuovo la nebbia. Ognuno di noi non deve perdere di vista il colore della mantellina di chi lo precede. Si pedala in silenzio, un silenzio interrotto dai camion che sfrecciano roboanti come volessero sfidare il nostro sistema nervoso. Noi, possiamo solo sentirli. Io ho paura. Ho molta paura, ma taccio. Pedalo in silenzio. Anche i telefonini che avevamo per comunicare tra di noi, taciono, come se avessero il fiato sospeso.

 

Poi come d'incanto anche la nebbia si dirada. Si pedala e si pedala... Scorgiamo lontano la macchina d'appoggio. Quell'alone blu con i fari intermittenti ci aspettava. Rappresentava la nostra speranza. Luigi, autista, amico paziente, si affaccia al finestrino e con le premure di una brava mamma ci chiede: Avete bisogno di qualcosa? La prossima meta è Tournuss, paesetto suggestivo, abbarbicato sulle montagne, dove i piatti li offrono abbondanti e succulenti, ma si deve litigare per il pane. Dijon, massimo centro della Borgogna, ci accoglie silenziosa.

Pernottiamo a Saint Seine-l'Abbaye e salutandola, la mattina seguente ci regala all'istante una interminabile salita accompagnata da una gelida e fitta pioggia.

Dobbiamo rassegnarci a proseguire per 130 km. sotto la pioggia che non ci abbandona per un solo istante. Durante il percorso mi assale un forte dolore. Non riesco più a pedalare.

Scopro che devo immancabilmente far pipì. Il centro abitato è lontano. Anticipo di qualche metro il gruppo e ai bordi della strada provvedo. Svelta Ivana. Fai più in fretta che puoi. Gli indumenti si freddano. Il corpo pure. Strizzo bene il giubbino e la mantellina prima di rindossarla. Fortuna, è ancora calda. Mangia Ivana. Mangia finche puoi. Mangia e brucia, questo è il segreto.

 

 

La pioggia ci terrà compagnia sino a raggiungere Troyes. Nella hall dell'albergo, prima che ci consegnino le chiavi delle stanze, io mi sono già liberata di tutti gli indumenti bagnati, comprese le scarpe, avvolta solo nell'accappatoio che sfilo dal borsone vado alla ricerca della mia stanza, portandomi dietro l'immancabile bagaglio.

Finalmente un po’ di relax! La notte è tranquilla e il tempo nel frattempo si placa e la mattina il cielo ci regala clemenza, portandoci colori e bellezze su quelle strade francesi, lunghe, nervose e rugose.


Eccoci finalmente a Reims, città gemellata. Città dello champagne.

Città ceduta agli inglesi nel 1420 e tornata alla Francia nel 1429 per opera di Giovanna d'Arco. Andiamo incontro alla stupenda Cattedrale di Notre-Dame uno dei più splenditi monumenti dell'arte gotica. Arriviamo stanchi, sporchi, trafelati, sfiniti. Troviamo ad attenderci le personalità del luogo e il giornalista Duccio Moschella della Nazione (che proseguirà con noi il resto del percorso).

Io quei baci e abbracci forti sotto la mia stanchezza e la sporcizia che ci portavamo dietro ad ogni tappa, non li dimenticherò mai. L'accoglienza nel palazzo comunale è commovente alla presenza del sindaco Jean Falala.

Tante le personalità prodighe a firmare la "Carta dei diritti del bambino" il tutto suggellato da un meraviglioso brindisi a champagne.

Ma quel nodo in gola che tutti sentivamo non ci ha impedito di apprezzare, subito dopo, tutti insieme, nel villaggio olimpico, l'abbondante buffè.
Il più è fatto. Si va. Si va più carichi. Più fiduciosi. La squadra è aumentata. Duccio, fresco come una rosa, si sacrifica più degli altri e taglia il vento in testa al gruppo. L'umore è alto. Marisa risveglia pippo e rincalzano le battute sul mitico maiale di gomma.

Si pedala cantando mentre ci accorgiamo che attorno la natura ha ripreso i suoi colori e profumi.

Ci accompagnano pensieri ottimistici. Giancarlo mi spiega il significato fiorentino di "...te se bella pinata". Pietro ha ripreso un po' di colore sulle gotte. Non ha più la febbre e la gola gli fa meno male. Guido il saggio, più tranquillo di tutti, sta sempre in coda a chiudere il gruppo. Marco, con la forza di un bisonte, sta davanti ad elucubrare pensieri innovativi. Cip, ovvero, Lorenza sempre pronta a scattare in salita e Alessandra, tanto arguta a carpire le occasioni della vita.


La prossima meta è St. Omer. Poi, sfidando l'aria gelida e il vento, immancabilmente contrario, arriviamo a Calais, città della Fiandra, porto sulla Manica che con un abbraccio lungo 32 km mette in comunicazione il Mare del Nord con l'Oceano Atlantico.

Ci imbarchiamo sul traghetto con la stanchezza dei 166 km. Ci voltiamo a salutare la Francia. Accantoniamo la sua lingua e la sua moneta e lo sguardo è subito colpito dalle leggendarie bianche scogliere di Dover: Falesie alte, gessose, ampie e ripide. Appaiono come sentinelle del tempestoso e burrascoso braccio di mare della Manica.


 

Dover. Dolce Dover, ci porterai dritti a Canterbury, l'altra città gemellata, dove ci attende lo Sceriffo, una grossa donnona. (non sapevo esistesse in Inghilterra la figura dello sceriffo per giunta donna!).
Ci si lascia il traghetto alle spalle e ci si accinge a pedalare su per la scogliera quando un urlo violento squarcia la mia anima: "Tutti a sinistraaaaaaaa!!!!!!!" Già, eravamo nel Regno Unito. Bene, tutti a sinistra, si pedala sulle strade di sua Maestà la Regina.

Allora. Si procede lungo la Contea di Kent per Canterbury. Si arriva che sono le 15,00, pardon le 14,00 ora inglese e sono già calate le tenebre. La squadra si confonde in una marea di gente. I nostri occhi sono subito rapiti dalla magnificenza della cattedrale, una delle più grandiose e celebri d'Inghilterra, che fu edificata sul luogo della chiesa eretta da Sant'Agostino. Riflesse nelle acque del fiume Stour, che attraversa la città ricordandomi a tratti Venezia, grosse nubi temporalesche si addensano sulle torri monumentali e sui portali della Cattedrale.

E' un brutto presagio: domani pioverà. Firmata la carta dei diritti del bambino, spenti tutti i riflettori e conclusasi tutta l'Ufficialità andiamo a mangiare e subito a dormire con stretta in pugno l'imminente vittoria.

E' vero, stavolta non ero in giro per le regioni d'Italia a gareggiare, non avevo alle calcagne la Winning Time, non c'erano le classifiche da verificare, il palco delle premiazioni.

C'era solo un cuore grande da far pulsare.
Ultima tappa. La squadra ha subito lentamente una metamorfosi diventando una cosa tutt'una. Non so come ciò sia potuto accadere, mai uno screzio, mai un litigio. Chi si è messo a far miracoli?
La strada per Londra è bruttissima. Percorrere la Statale, unica alternativa, è giocare alla roulet russa.

Viene giù la pioggia inglese che pare sia più ostile. Penetra il nostro corpo. Quasi lo lacera. Fa molto freddo. Questo maledetto gelo non ci abbandona. C'è il vento che si insinua in quei centimetri quadrati che abbiamo scoperti.

C'è di tutto. Guai. Guai a chi ci ferma.

Ora no. Non si può. Londra è alle porte. Eccoci! Il Big Ben!!!!!! E' finita. Finita. Ringraziamo la sorte. C'è tanta gente ad attenderci assieme alla squadra dei ciclisti inglesi che a giugno ha fatto il raid in senso inverso:
il console italiano Gallo, la direttrice Elisabeth Wilmott (coordinatrice dei due ospedali), i primari degli ospedali. Ma quel che colora di più la grigia giornata londinese è il sorriso dei bambini del Great Street Ormond Children's Hospital.
E' giunto nel frattempo marzo.
La Nazione di Firenze scrive sul suo giornale..."I piccoli eroi della Firenze Londra domani 13 marzo si limiteranno a salire... le scale di Palazzo Vecchio, dove in Sala di Lorenzo troveranno i 'Fiorini' alla solidarietà da appuntare sul petto..."
E la squadra si rincontra in quella occasione, giusto il tempo per sentire dal direttore Marco Ceri: "Nel 2000 si va ad Oslo!" E noi? Siamo pronti a partire. Grazie.

 

 

Lorenza,Marisa,Ivana,Alessandra

Firenze P.zza Della Signoria

Canterbury

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