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dal 12/1/2008


© G.S.Chilometrando

 

Supermaratona dei Nuraghi
Dedicato a Bruno Macis
Peter polak e Milan Furin
Peter Polak

di Ivana Taccori

Era il 15 ottobre 1988 e dalla città di Cagliari prendeva il via la 5° “Super Maratona dei Nuraghi” – corsa a piedi - Cagliari-Sassari Km. 254 no stop, organizzata dal CONI-FIDAL.
Alla partenza tantissimi; vi erano coloro che avrebbero disputato la mezza Maratona, chi la Maratona e chi la 100 km. fino a Oristano. Gli atleti iscritti alla Super Maratona erano 25 e non tutti sarebbero arrivati..

Al Howie

L'ammiraglia

Benché i personaggi di questo avvenimento fossero tutti interessanti, due mi avevano colpito particolarmente, ciascuno con una storia diversa. Al Howie (scozzese) e Peter Polak (Cecoslovacco).
Inizierò col raccontarti di Al Howie.

 

......era il 1984 quando i medici che sottoposero Al Howie, allora 38 enne, ad un insieme d’esami, con grande freddezza gli dissero: “hai un cancro al cervello e ti restano pochi mesi di vita, ovvero una sola stagione”. Al Howie stette a riflettere un poco e prima che lo sconforto prendesse il sopravvento, decise il da farsi. Forse pensò e ripensò a quel che scrisse Shakespeare “....Quando non si può trattenere quel che ci porta via la mala sorte, la rassegnazione può ridurre il danno a un gioco. Il derubato che sorride, ruba qualcosa al ladro: ruba a se stesso chi si spende tutto in rimpianti vani”. Decise allora di continuare a fare – dopo avere accettato la realtà - quello che aveva sempre fatto: “Correre”. Correre sino alla fine. Ma la fine era ancora molto lontana e lui non lo sapeva, poteva solo sperarlo, e di stagioni, quando io lo conobbi ne erano passate tante.
Erano infatti trascorsi quattro interessantissimi anni che lo avevano visto protagonista di tante imprese, in quanto, dopo avere ascoltato la sentenza dei medici, giurò a se stesso che avrebbe sfidato la morte come uno dei tanti avversari che era solito incontrare.
Le cronache infatti dicevano di lui che.....” sta attraversando a piedi l’Europa per arrivare entro il 15 ottobre a Cagliari, dove si schiererà al via della ‘Supermaratona dei Nuraghi’. Quando partì da Londra il 4 settembre, Howie non diede più notizie di sé agli organizzatori, ma non lasciò alcun dubbio sulla sua puntualità alla partenza. Da quando i medici lo diedero per spacciato, infatti, lo

Peter Polak e Ivana Taccori
Giancarlo Melis e Milan Furin

scozzese ha affrontato numerose analoghe traversate nel Nord America, oltre ad aver stabilito il 7 novembre 1987 a Victoria, in Canada, il record mondiale di corsa no-stop, percorrendo 580 chilometri in 4 giorni, 8 ore, 29 minuti e 48 secondi”. Howie riposava, come prevede il regolamento, 5 minuti ogni ora, concedendosi un pisolino di 20 minuti ogni sette ore. “Ho persino imparato a stringere i lacci delle scarpe senza fermarmi” confessò al termine della gara, al giornalista che lo intervistava”
.........Nel frattempo il tumore regrediva miracolosamente. Diventò vegetariano dopo qualche giorno che gli parlarono del suo tremendo male (ed attribuì a questa sua scelta il suo miglioramento) e si impegnò senza tregua in una costante caccia ai record dell’ultra-fondo. Partecipò alla corsa di 1.400 chilometri, che lo vide protagonista, nell’attraversamento della Gran Bretagna, concludendola in 11 giorni, 3 ore, 18 minuti. Il precedente record fu di 22 ore e 41 minuti superiore.
Dunque, dicevo, era il 15 ottobre 1988 quando scorsi i suoi piedi rasentare la linea di partenza, in piazza Garibaldi a Cagliari. Vidi il suo viso sereno attraverso la sua barba rossa. La compostezza del suo fisico, la caparbietà di chi crede nel raggiungimento dei propri obiettivi.
Dicevo a me stessa che l’essere capaci di osservare, cogliere gli insegnamenti della vita porta l’individuo ad una vera ricchezza.
Benché in quell’occasione, Giancarlo ed io dovevamo occuparci, o meglio eravamo stati designati quali giudici dell'atleta cecoslovacco Peter Polak col numero di gara 163, avevo giurato a me stessa che avrei cercato in tutti i modi di seguire attentamente anche la sua impresa.
. C’erano in palio grosse somme di danaro per i primi dieci atleti che avessero tagliato il traguardo. Per il nostro atleta nessuno aveva scommesso nulla......

e.......questa é un’altra storia.

di Ivana taccori

partenza: Cagliari Piazza del Carmine.

Partenza: Piazza del Carmine.

Il nostro ruolo consisteva nel controllare come giudici di gara, alla guida di una vettura al seguito, che l'atleta affidatoci effettuasse la corsa come da regolamento. Ricordare che le soste consentite erano ai bordi della strada per rifornimenti, massaggi, cambio indumenti e necessità primarie, cacca e pipì, non era consentito dormire, pena la squalifica.
Con Giancarlo ci si alternava nella guida ed a turno cercavamo in tutti i modi di affiancare l’atleta correndo assieme a lui soprattutto nei momenti di grande sconforto. Quando l’energie mentali venivano meno perché il fisico accusava stanchezza.
Dicevo, appunto, che nessuno avrebbe scommesso una lira su di lui. D’altronde era specialista nei 100 chilometri e ne avrebbe dovuto correre 254. Ma io che credevo e tutt’oggi continuo a credere nei miracoli, perché sono spesso la risultante della grande volontà che c’é in noi, scommettevo senza poterlo confessare ad alcuno, che Peter Polak avrebbe calpestato l’erba della pista campo CONI di Sassari.

......Gli accordi alla partenza furono: un cenno che significava porgergli il bottiglione di vetro (che era il suo corredo per l’impresa) con dentro i sali. Altro cenno che stava a significare il bisogno di ricorrere all’acqua zuccherata. Alla fetta di mela. Al pezzo di formaggio e così via... Un segnale di stop per i bisogni primari escluso dormire e badando attentamente che non si tornasse indietro per nessun motivo.

Giancarlo Melis, Milan Furin e Peter Polak.

 

Quali giudici avevamo diritto a tre pasti in ristorante. Ben evidenziati sul cruscotto, i buoni che sarebbero stati tradotti in pasti luculliani, rimasero ben conservati sino alla fine dell’impresa, perdendo l’utilizzo. Nulla era più importante di far arrivare Peter Polak a Sassari. Avevamo diviso con lui i momenti di sconforto, di stanchezza, di angoscia. Avremmo controllato la fame con lo stesso pezzo di formaggio, pane e acqua.
Vi giuro, é vero, io non ricordo altro. Inoltre, non ricordo di avere corso così tanto in vita mia. Non capisco ancora come sia stato possibile percorrere tanti chilometri alternandomi alla guida dal sabato mattina alla domenica sera. Ma Peter Polak ce l’ha fatta. Arrivato al campo Coni di Sassari, l’interprete traduceva una sua dichiarazione: “Questo arrivo qui io lo devo principalmente a Ivana, senza di lei sarebbe stato irrealizzabile. Io stesso non ci ho mai creduto. Lei non mi ha lasciato alternativa perché credeva fermamente che “volendo” sarei potuto arrivare, bastava crederci e lei più di me ci credeva: non mi ha permesso di mollare”.
Quelle parole non mi stupirono perché ero impegnata mentalmente a ringraziare lui per la felicità che mi aveva regalato: avrebbe portato a casa una congrua somma in una realtà familiare di grande indigenza.
Venivano premiati i primi dieci arrivati e lui si era classificato nono ! E gli echi di coloro che non avrebbero scommesso una lira su di lui si erano smorzati nella leggera brezza di una domenica sera speciale che si lasciava alle spalle un caldo torrido che toglieva il respiro.
Quando era stanco, stremato si aggrappava al mio nome:”Ivana, Peter caput. Ivana, Ivana, Ivana, Peter caput”.

Peter Polak, Milan Furin, Giancarlo Melis.

Peter e Ivana.

Ed io rispondevo: “Peter Sassari, Peter Sassari, Sassari, Sassari”.
Scoprivo col vivergli accanto che conosceva due canzoni italiane: “avanti popolo” e “Azzurro” di Celentano. Furono le sole due canzoni che come una litania cantavamo per non crollare in un profondo sonno che sarebbe stato funestato da incubi perché Sassari attendeva il mio atleta.Tutto l’altro comunicare era fatto di gestualità badando bene a non disperdere energie preziose nei movimenti.

........Poi la sua mimica facciale mi trasmette un segnale di forte dolore, il dito indice e medio della sua mano destra mimano le forbici. Non capisco - gli dico. Non ho con me nessuna forbice.
Capisco poi che vorrebbe tagliarsi la punta delle scarpe. Stiamo percorrendo la lunga salita per Cuglieri. Come nemico un forte vento pungente e contrario. Gli stavo davanti per tagliargli il vento, per fargli un poco da scudo anche se, ne sono certa, non avrei dovuto.. Era calato su di noi il nero mantello della notte. Nell’oscurità si intravedevano a tratti gli occhietti rossi delle telecamere atte al controllo. Peter incominciava a cedere al forte sonno. Alla stanchezza Non disperare Ivana, - dicevo a me stessa – é solo un momento. Infatti, dopo, sussurrandomi “tutto ok.” riprendeva la sua corsa. Ed io chiedevo stremata il cambio a Giancarlo e mi mettevo alla guida dell’auto. Almeno un poco stavo seduta.
La mia sosta come quella di Giancarlo era unicamente per andare ad acquistare qualcosa da mangiare per noi e per Peter: Pane ,frutta, acqua e caffé. Tanto caffé.

Ora, tutti quanti voi, provate ad immaginare l’abbraccio forte tra “noi tre” distesi sull’erba del Campo Scuola con la faccia verso il manto celeste che si tingeva di scuro. Quanto era bello quel cielo! E quanto era grande il sollievo di Peter mentre gli toglievano di dosso le scarpe mentre i suoi piedi si gonfiavano all’unisono da sembrare due palloni di calcio. Che mi importa, pareva pensasse Peter, avranno tempo per sgonfiarsi prima di intraprendere un nuovo cammino. Una nuova corsa. Ed ora io penso: Veri uomini, lontano dal doping”. Io Peter Polak non l’ho più visto. Ma quando mi torna in mente lo immagino che corre sereno lungo le strade della vita.
Tornammo tutti a Cagliari la sera stessa dopo avere mangiato una montagna di gnocchi al sugo offerti al campo.
La stanchezza era immane, la felicità di più. Tornarono all’Hotel Mediterraneo di Cagliari con noi nella nostra ammiraglia: Peter Polak, 9° classificato – raggiante come il sole; Al Howie, 7° classificato – dormì in posizione fetale durante tutto il tragitto, scese con la lettiga; Milan Furin, Cecoslovacco, ricercatore universitario – raccontava durante il viaggio che correva per incrementare il misero salario e permettere ai suoi figli di proseguire gli studi - 8° classificato. Arrivò “primo” l’anno precedente Io mi alternavo con Giancarlo alla guida dell’auto mentre calcolavo la somma che avrei dovuto riscuotere qualora si potessero tradurre in mille lire, ogni pizzico che mi davo al collo per mantenermi sveglia.
E’ finito. A me rimane il ricordo e il grande insegnamento di vita.

Ciao Bruno, a presto

Bruno, siamo sempre di più ! Aspettiamo il tuo ritorno!

“conta i fiori del tuo giardino e non le foglie secche che cadono”


 

E’ doveroso pubblicare quanto Marco ha scritto, perché é un “inno alla vita”

Ciao Ivana!
 
Sono Marco, il figlio di Bruno.
 
Leggere l'articolo che hai voluto dedicare a papà è stato davvero molto bello e commovente... ma non sono solito soffermarmi troppo su queste emozioni, me le godo intensamente e poi giù di nuovo a capo chino a combattere questa battaglia per la Vita.
Bruno ha di fronte un ostacolo che, per molti, sarebbe impossibile persino solo voler affrontare!
 
Lui ha deciso di affrontarlo alla maniera di Peter Polak, cioè contando solo sulle sue forze, abbandonando la Velenosa medicina tradizionale... e lo sta facendo ALLA GRANDE... ripeto ALLA GRANDE, come pochi riuscirebbero a fare!
 
Noi, vale a dire la famiglia e gli amici, abbiamo ora il compito che Tu e Giancarlo avevate nella Cagliari - Sassari con Peter: dobbiamo tirargli fuori tutto il coraggio, la speranza, la fiducia e la voglia di VINCERE, perchè Bruno ce la può fare davvero a scalare di nuovo i passi dolomitici.
 
Nel suo sorriso di questi giorni, seppur con dolori e sofferenza, c'è tutta la voglia di vivere ancora quelle splendide emozioni.
 
Nei momenti di tristezza piangeremo con lui... nei momenti di gioia rideremo con lui e quando, con l'ultima TAC, non ci sarà più evidenza del tumore tutti insieme lo festeggeremo!
 
Grazie di Cuore.
Marco, Silvana e Silvia