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dal 12/1/2008


© G.S.Chilometrando
Vedi Isola gemella di "Rottnest Western Australia"

L'Isola dell'Asinara

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un paradiso dove per tanti anni è stato parcheggiato "l'inferno"

Il 26 maggio siamo andati alla scoperta dell'Isola Asinara (diventata Parco Nazionale il 27 dicembre 1997 a seguito dell’emanazione della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 6 dicembre 1991).

COME ARRIVARE. Per arrivare all'Asinara partendo da Cagliari si percorre la S.S. 131 in direzione Oristano - Sassari (a Sassari sono circa 210 Km.) e, una volta giunti alla periferia di Sassari si prosegue, sempre sulla S.S. 131 per Porto Torres - distanza 19 Km. circa. Giunti al porto si seguono le indicazioni per Stintino e una volta arrivati si percorre il centro del paese sino a raggiungere il Porto Nuovo dove ci si imbarca.
Vedi
l'Isola di Rottnest , la sorella australiana dell'Asinara, adibita anch'essa a prigione, ma già nel 1920 cadde in disuso e l'isola divenne un luogo di evasione per la comunità di Perth la capitale dell'Western Australia. Oggi una grande meta turistica.

Si possono effettuare solo visite guidate con fuoristrada, Autobus o col trenino. Le Escursioni sono giornaliere e si parte alle ore 9.30 (imbarco ore 9,15) dal Porto Nuovo di Stintino e rientro a Stintino alle ore 17.30. La traversata ha una durata di 20 minuti circa.

 

 

 

L'estensione dell'Isola è di 52 km2, lunghezza massima 17,5 km e larghezza massima 6,15 km. Il rilievo maggiore è "Punta della Scomunica" di 408 metri.

 

Per quanto concerne la fauna, sono presenti 80 specie di vertebrati terrestri e la flora è rappresentata da ben 678 specie di cui 29 endemiche.


Non si possono fare escursioni a piedi ma in bicicletta è consentito percorrere l'Isola in piena autonomia. Le biciclette, con grande dispiacere, non si affittano sul posto e l'unica alternativa se si vuole usare questo mezzo è portarsela da casa.

Servizi

Servizi

Purtroppo in tutta l'isola c'è un solo distributore di bibite e caffè collocato nel corridoio di accesso ai bagni nella località Cala Reale dove il bus fa la sua sosta liberando il carico dei turisti e creando inevitabilmente una lunga fila di attesa: Caffè? No, pipì.

 

"...ricevo e doverosamente pubblico"

Ciao Ivana,

"...Forse per completezza bisognerebbe descrivere oltre quello che c'è sull'isola anche tutto quello che non c'è e che invece ci dovrebbe essere visto che il Parco Nazionale è attivo ormai da dieci anni. Proprio un paio
di giorni fa sulla Nuova Sardegna è uscito un articolo che denuncia la situazione dei rifiuti abbandonati all'Asinara. Voi non li avete visti perchè non ve li hanno fatti vedere, ma ci sono. Molto meno che in passato,
ma ci sono. Compresi alcuni pulmini elettrici acquistati dal Ministero e mai utilizzati, inspiegabilmente massacrati a randellate e abbandonati nei campi dietro il carcere di Fornelli. Chi è stato a ridurli così visto sull'Isola
non c'è nessuno? A chi giova che il Parco non abbia in dotazione dei mezzi propri ma debba noleggiarli profumatamente una ditta esterna? Domande senza risposta, come tante altre... ma che mi fanno incazzare tanto..."

 

 

Bruno "Amici della Terra"Simone e Paola

Da apprezzare la professionalità della nostra guida Paola, la pazienza dell’autista del bus Simone nonché la grandiosità di Bruno “Amici della Terra” che durante tutto il percorso - da Cagliari a Stintino - ci ha rapiti tutti con la storia passata e recente dell'Isola dell'Asinara. A tutti un grande GRAZIE

 

IL CARCERE DELL’ASINARA E LA SUA LUNGA STORIA

 

 

L’isola dell’Asinara diventa una colonia penale nel 1885, stesso anno in cui viene istituito anche il Lazzaretto. Il modello ispiratore era quello della colonia penale agricola dell’isola di Pianosa, nata nel 1858.

Furono espropriati i terreni e i fabbricati di 500 isolani, per organizzare il carcere in insediamenti residenziali, detti anche “diramazioni”.
A proporre il disegno di legge fu l’allora ministro dell’Interno Agostino De Pretis, che riteneva il carcere un’utilità per il governo e per i detenuti. Il governo, facendo lavorare i detenuti sull’isola, non avrebbe dovuto inviare del personale per la costruzione del lazzaretto, e i detenuti avrebbero potuto condurre una vita più attiva, secondo le parole di De Pretis: “…si era riconosciuto conveniente l’impianto di una colonia di coatti, dei quali molti si hanno sempre relegati in località in cui manca assolutamente il modo di occuparli al lavoro…e che pure ad essi si ravviserebbe conveniente trovare produttivo impiego”.
Alla fine del 1888 nella colonia dell’Asinara si trovavano 254 detenuti.

Il 25 giugno 1971 sbarcarono all’Asinara 15 presunti mafiosi. Inviati dapprima in soggiorno obbligato a Filicudi, in seguito alle proteste dei 250 abitanti dell’Isola vengono destinati dal Ministero di grazia e Giustizia all’Asinara, sede di una colonia penale agricola. Tra questi primi quindici mafiosi ci sono Antonino Bucellato, Tommaso Scaduto, Gaetano Badalamenti, Giacomo Coppola, Rosario Terrasio.

La decisione ministeriale è una doccia fredda per il giovane Comune di Porto Torres, sotto la cui giurisdizione territoriale ricade l’Asinara, da anni interessato a chiederne la sdemanializzazione, essendo l’isola sotto l’aspetto giuridico-istituzionale di proprietà del Ministero di Grazia e Giustizia.
Porto Torres in quegli anni è sede dell’industria petrolchimica e i territori ceduti a questa hanno privato il Comune di spazi su cui far convergere l’espansione turistica.

Il turismo è un investimento trainante in Sardegna e l’Asinara rappresenta lo sblocco naturale del suo sviluppo, ma non appena si viene a sapere che la colonia penale ospiterà i 15 presunti mafiosi, è per tutti chiaro che lo svincolo dell’Isola è un obiettivo che si allontana.

Ad aggiungersi ai 15 personaggi sospettati di appartenere alla mafia siciliana, di avere legami con la criminalità organizzata, a settembre si aggiungono altri 18 nomi tra cui Giuseppe Brusca e Gaetano Riina portando a 35 i soggetti a domicilio coatto.

Ma a metà degli anni ’70 non è più solo il soggiorno dei mafiosi a rendere l’Isola inquietante, è stata infatti considerata adatta ad accogliere i detenuti più difficili e ribelli, e così il 13 maggio 1977 arriva Renato Curcio, capo storico ed ideologico delle Brigate Rosse; già evaso nel luglio 1975 dal carcere di Casale Monferrato.

Anche la direzione del carcere in questi anni è cambiata: al dott. Napodano è subentrato Luigi Cardullo, siciliano, non ancora quarantenne che dirigerà l’Asinara per otto anni, gli anni del supercarcere appunto, e da subito si conquista la fama di duro. Col tempo si scoprono le condizioni in cui vivono i detenuti “…sono a tre a tre, in celle di quattro metri per due metri e cinquanta…” - La Nuova Sardegna, 2 ottobre 1977.

La corrispondenza in arrivo ed in partenza dei detenuti viene controllata e sottoposta a censura. Spesso vengono sequestrati giornali, libri, foto dei familiari e documenti. Gli spostamenti del detenuto dalla cella vengono ridotti al minimo. Aumentano le perquisizioni personali ed in cella. Gli istituti e le sezioni speciali sono dotati di maggiori sistemi di sicurezza (cancelli, mura, maggior presenza di agenti penitenziari) rispetto alle altre tipologie di carceri poiché sono appunto creati per internare detenuti particolari che hanno tentato più volte l'evasione o che hanno commesso atti di ribellione durante precedenti periodi di detenzione.cespugli di euforbia

Gli anni ’70 saranno i peggiori della storia del carcere dell’Asinara. Il clima di tensione dei detenuti, le violenze tra loro e verso le guardie, portano anche i direttori del carcere a prendere provvedimenti sin troppo drastici. Nel 1976 l’allora direttore del carcere Luigi Cardullo ordinò agli agenti di sparare contro un turista svizzero che aveva inavvertitamente oltrepassato il limite dei 500 metri imposto dalla capitaneria.

Nel 1978 arriva l’occasione, per il Ministero di Grazia e Giustizia di accertare se sia vero che alcuni detenuti vengono trattati come sepolti vivi, con una manifestazione pacifica guidata da cinque carcerati appartenenti all’estrema sinistra, contro l’installazione dei vetri divisori spessi un dito che rendono impossibili i colloqui.

La protesta viene repressa con pestaggi e violenze, la notizia degli incidenti rimbalza a Roma dove viene disposta una ispezione al penitenziario e una visita di alcuni Parlamentari che, al loro ritorno, rilasciano un’intervista dove descrivono una “situazione esplosiva”.

Arriverà, di lì a poco, un documento al settimanale ‘‘Panorama’‘ attribuito a Renato Curcio a Alberto Franceschini in cui la chiusura dell’Asinara è indicata come uno degli obiettivi che le Brigate Rosse devono conseguire. Le Brigate Rosse si muovono nella direzione indicata: il 24 settembre 1979 a Roma, durante un sopralluogo la polizia è oggetto di una sparatoria da parte degli occupanti di una Giulia blu. Tra i feriti vi è uno dei banditi e nella sua 24 ore viene ritrovata la documentazione relativa a un piano d’evasione dall’Asinara di circa 80 detenuti.

La sera del 2 ottobre i detenuti del ramo di Fornelli insorgono, cogliendo di sorpresa le guardie , feriscono un agente e, dopo che si riesce a far scattare l’allarme, si scatena una violenta battaglia. Il braccio di sicurezza viene circondato dalle forze dell’ordine, mentre i rivoltosi smantellano le celle, devastano la costruzione con caffettiere ad esplosivo di cui sono misteriosamente in possesso.

All’alba del 3 ottobre la ribellione viene sedata con il ricorso di gas lacrimogeni. Le richieste vengono parzialmente accolte (cioè il trasferimento degli insorti) e la ricostruzione in tutta fretta del carcere darà luogo a un’inchiesta da cui scaturirà un non previsto processo.

Poiché i lavori nel supercarcere devono essere fatti alla svelta, il Generale Dalla Chiesa è interessato più a ripristinare l’ordine di sicurezza che non a controllare fatture e preventivi, e legittima che dell’intera organizzazione sia responsabile Cardullo. Ma qualcosa a un certo punto nel funzionamento non convince, a novembre del 1980 il direttore viene trasferito a Perugina con un provvedimento le cui ragioni non sono del tutto chiare.

La magistratura sassarese inizia così un’indagine sui lavori di ristrutturazione di Fornelli perché il successore di Cardullo non avvalla le fatture che quest’ultimo gli ha lasciato.

Nel luglio del 1981 le comunicazioni giudiziarie raggiungono le imprese approdate all’Asinara, funzionari del Genio Civile, il comandante del ‘‘Cantiello’‘ il motoscafo che assicura i collegamenti tra Porto Torres e l’Asinara, Cardullo e sua moglie Leda Sapio. Tutti coinvolti in un giro di tangenti a appalti truccati. A metà dicembre del 1982 i coniugi Cardullo finiscono in carcere l’uno a Tempio e l’altra a Sassari.

Nel processo che vede dieci imputati e i due coniugi ormai l’uno contro l’altra, quella che emerge è una squallida storia di arroganza e corruzione, di pagamenti in gioielli che risultano poi essere falsi, di accuse e voci di adulterio. Una storia nella quale Cardullo a un certo punto chiama in causa i servizi segreti, asserendo di essere stato da questi reclutato sin dal 1973, di aver per loro intercettato le conversazioni dei detenuti, di aver violato la legge continuando, nonostante ciò, a svolgere le funzioni di direttore. Insomma di corruttori e corrotti che si chiude con la sentenza del 31 luglio 1987, che riconosce il peculato e la truffa e commina le pene più gravi all’ex direttore e a sua moglie. Direzione Centrale

Quando avviene il processo e la condanna dei coniugi Cardullo, Fornelli, come sede del supercarcere, non esiste più. Il 12 dicembre dello stesso anno le Brigate Rosse rapiscono a Roma il giudice Giovanni D’urso, consigliere di Cassazione e tra le richieste per la sua liberazione vi è la chiusura del braccio speciale di Fornelli. I vertici dello Stato cercano strade diverse alla trattativa e a fine anno scatta per l’Asinara ‘‘l’ora zero’‘. Tutti i detenuti che si trovano ancora nel bunker vengono trasferiti con destinazione ignota. Apparentemente la chiusura è avvenuta, il braccio ormai deserto di Fornelli ospiterà per un breve periodo nel 1983 Raffaele Curcio, capo della camorra napoletana.

Celle Direzione CentraleNel 1983 il braccio destro del carcere Fornelli ospita per un breve periodo Raffaele Cutolo, capo della camorra napoletana. Il 1° settembre 1986 scappa dal carcere

L’attenzione per l’isola si riaccende quando il 1 settembre del 1986 avviene il primo tentativo di fuga riuscito: Salvatore Duras e Matteo Boe evadono dal carcere dopo aver tramortito una guardia. Scattano le ricerche, e il ritrovamento di un gommone abbandonato al largo dell’Asinara fa intuire che i due sono già lontani. Il gommone era guidato da Luisa Manfredi, moglie di Matteo Boe, che troverà rifugio in Corsica dove verrà in seguito arrestato. Matteo Boe, 28 anni, originario di Lula, era detenuto per il sequestro di Sara Niccoli e all'epoca della fuga non era ancora molto famoso (avrebbe finito di scontare la pena nel 2002). Lo diventerà dopo, partecipando al sequestro di Farouk Kassam nel 1992.

La permanenza all’Asinara doveva stargli stretta, e così decise di evadere dal carcere con Salvatore Duras, in carcere per furto. Studiano un piano a tavolino che poi risulterà perfetto. Dopo aver tramortito una guardia, i due riescono a raggiungere la costa in una cala dove una donna li aspetta nascosta a bordo di un gommone. La ragazza, Laura Manfredi, emiliana, aveva conosciuto Matteo Boe all’università. Duras fu trovato poco tempo dopo. Boe, invece, riuscì a restare latitante, nascondendosi in Corsica, per sei anni.

Ma i detenuti che hanno cercato di fuggire dal carcere dell’Asinara sono stati tanti. La vicinanza dell’isola alla punta della Sardegna dava l’impressione che fosse facile, una volta riusciti ad eludere le guardie costiere, Caserma agenti di Cala D'Oliva ristrutturato per essere usato prossimamente come ostelloscappare a nuoto. In realtà non era né tanto semplice sfuggire alle guardie, perché i controlli avvenivano sia di giorno che di notte su tutta la costa, né poi era semplice buttarsi a mare e sbracciare sino alle coste sarde. C’erano infatti le correnti, violente e inarrestabili, che impedivano una tranquilla nuotata verso la libertà.

Sono stati tanti i carcerati trovati morti annegati, recuperati giorni dopo la scoperta della loro fuga. È stato trovato morto anche un detenuto che cercava di raggiungere la Sardegna con una barchetta a remi. Dopo giorni e giorni in balia delle correnti, era morto di inedia. Solo uno, un bandito sardo, riuscì a organizzare una fuga intelligente e meditata. Si nascose in una grotta nell’isola. Aveva con sé viveri e una barca, nascosta. Stette un mese dentro la grotta aspettando di poter scappare con la barca, guardie e correnti permettendo. Lo trovarono gli agenti penitenziari scorgendo nel terreno vicino alla grotta delle orme. Le sue.

Le altre vicende dell’Asinara sono il recente soggiorno di Salvatore Riina, prima che la chiusura del carcere e l’istituzione del Parco naturale divengano finalmente realtà il 27 dicembre 1997 a seguito dell’emanazione della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 6 dicembre 1991.

LE DIRAMAZIONI CARCERARIE
Cala d’Oliva era una delle principali diramazioni del carcere dell’Asinara. Oltre a una struttura carceraria, era l’unica parte dell’isola ad essere abitata. Qui avevano casa, infatti, le famiglie delle guardie carcerarie, e così attorno al carcere gravitava una piccola cittadina.


Il carcere dell’Asinara era diviso in diverse diramazioni per dei motivi precisi. Ciascuna diramazione era una sorta di piccolo carcere, formato da sobri dormitori alloggi, dalla caserma delle guardie, da locali di servizio e da stalle per gli animali.

Ognuna aveva un suo nome e una sua tipologia, sia per quanto riguarda la sicurezza che per il tipo di vita che i detenuti potevano condurre in base alla loro pena.
Così Fornelli, la struttura carceraria che si trova nella punta Sud dell’isola, era, assieme al carcere di Cala d’Oliva quello più sicuro. Qui venivano rinchiusi i detenuti più pericolosi e, durante gli anni ’70, i mafiosi (Totò Riina fu rinchiuso in un bunker in cima al colle su cui è costruita Cala d’Oliva). A Fornelli, infatti, c’erano le celle di massima sicurezza e i cortili chiusi anche sopra la testa da una rete metallica.
A Santa Maria, invece, che da lontano, con i due xilos che sbucano dall’apertura interna, sembra una enorme fattoria, stavano i carcerati meno “pericolosi”, che lavoravano la terra e avevano una maggiore libertà di movimento.

Nella isolata diramazione di Tumbarino (quando l’Asinara era una colonia penale serviva ad accogliere solo 15 condannati per il periodo necessario per l’approvvigionamento di legna e carbone, essendo la zona priva di terreni coltivabili) erano rinchiusi i pedofili, lontani da tutte le altre strutture e privi di qualsiasi anche piccola agevolazione.
Gli altri “settori” della struttura carceraria erano Campu Perdu, Elighe Mannu, Trabuccato. Ma la struttura centrale era Cala Reale, chiamata così perché ospitava l’approdo e le strutture di accoglienza dei Savoia. Da qui partivano tutti gli ordini e si eseguivano tutte le operazioni di routine, compreso quella di smistare la posta per i detenuti.

LE TESTIMONIANZE
Due testimonianze: un uomo ed una donna ricordano il primo impatto con un carcere speciale (le testimonianze sono tratte da "Massima sicurezza - Dal carcere speciale allo stato penale." di Salvatore Verde Odradek ed.2002
“La mia destinazione era una piccola costruzione, bassa, che le guardie chiamavano pollaio perché vi aveva tenuto le sue galline la moglie del direttore: quattro celle strettissime, seminterrate, con la finestra dalla quale, nei giorni di pioggia, entrava l'acqua a torrenti. Una porta bassa, da pollaio, appunto, che potevi superare solo abbassandoti. In tutto quattro metri per tre. Dovevamo viverci in quattro, su due letti a castello e, come unico mobilio, un tavolino fissato al pavimento e quattro sgabelli”.


I contenuti del carcere duro consistevano in una strategia volta a raggiungere il doppio obiettivo di isolare ermeticamente l'internato e di incidere, contemporaneamente, sui livelli di vivibilità dello spazio detentivo, al fine di lavorare ad una graduale frantumazione dell'identità politica dei singoli soggetti.
Il primo obiettivo veniva perseguito attraverso la censura sulla corrispondenza, pesanti limitazioni nei rapporti con la famiglia (colloqui e comunicazioni telefoniche), impossibilità di accesso ai mezzi di comunicazione di massa (stampa e radio/televisione).


All'impermeabilizzazione con la società esterna si abbinava un mix discrezionale di azioni di appesantimento della condizione detentiva: rigida separazione in reparti e/o istituti speciali; totale isolamento comunicativo con gli altri reclusi; graduale e progressivo impoverimento delle condizioni materiali di vita, con riduzione delle ore d'aria, della possibilità di ricevere pacchi e di acquistare generi alimentari.


Se questi sono i contenuti normativi del regime speciale, le pratiche repressive concrete che esso ha permesso sono andate molto al di là di quanto si possa immaginare. La letteratura sull'argomento è abbastanza estesa da permettere, anche ai più pigri, di conoscere cos'è stato il carcere speciale nel nostro paese in quegli anni. Oltre ai pestaggi, alle disumane condizioni di vita, all'isolamento in cui erano tenuti i reclusi, ciò che indigna ancora di più la coscienza civile e la sensibilità sono le pesanti conseguenze che ricaddero sui familiari dei detenuti, espressione di una logica di rappresaglia indegna anche della più flebile concezione democratica dello Stato.


Partire da Milano, Torino, Firenze, Roma o Napoli per raggiungere l'Asinara e vedersi rispediti indietro senza aver potuto incontrare il proprio congiunto perché ci si è rifiutati di sottoporsi all'umiliazione di una perquisizione corporale, è un'esperienza che tutte le donne che hanno avuto qualcuno in carcere per lotta armata hanno vissuto…

Quella delle perquisizioni corporali ai familiari è stata la più odiosa ritorsione che poteva essere immaginata. Le pratiche della repressione penetrano fin dentro al corpo, violano l'intimità fisica dei propri affetti, affermando un principio di potenza che non conosce confini invalicabili.

“Da parte mia e da parte della maggioranza di noi c'è sempre stato il rifiuto delle perquisizioni vaginali. Con noi che eravamo "le giovani" andavano pesanti, non si limitavano a farci spostare il reggiseno, ma a denudarci come vermi. Ci costringevano a spogliarci e a fare flessioni; mentre alle perquisizioni vaginali sono riuscita ad oppormi, le flessioni completamente nuda ho dovuto farle perché altrimenti non mi avrebbero fatto fare il colloquio”.
Affermazione della penetrabilità del corpo, violazione della sua sacralità, negazione radicale della sua integrità. All'esercizio del potere di controllare, visionare, ispezionare i corpi, corrisponde la più assoluta negazione della fisicità dell'affettività.

“Prima a Cala d'oliva i colloqui li facevamo in un posto tremendo ma almeno senza vetro. A Fornelli, trenta chilometri al di là dell'isola, ci installarono i vetri ed i citofoni. E' stata una cosa da non raccontare. Il non potersi toccare, il sentire questa voce distorta e metallica. Fu una delle invenzioni più cattive. In un rapporto c'è il problema dei corpi, del bisogno del contatto fisico che il carcere censura di per sé, ma il vetro fu la fine della possibilità di toccarsi una mano, di sentirsi vicini. Fu orribile, inimmaginabile...


Si è trattato di una vera e propria logica di guerra, attuata attraverso la più drastica recisione di ogni possibilità di contatto del recluso con la propria realtà sociale ed affettiva. Al contempo, veniva diffusamente utilizzata tutta la strumentazione classica di distruzione dell'identità, attraverso il perseguimento di una strategia di annientamento dell'integrità psico-fisica degli individui.


Ma non solo. Il carcere duro costituiva anche una formidabile arma di governo per gli altri due circuiti penitenziari, rappresentando la possibilità concreta, visibile, di peggioramento della condizione detentiva, un inferno a portata di mano dove si poteva piombare in qualsiasi momento.
L'ermetica compattezza che il quadro politico dell'epoca oppose ad ogni tentativo di critica a questa oscenità rese possibili amplissimi margini di discrezionalità all'Amministrazione Penitenziaria nel gestire, in spregio ad ogni pur minimo vincolo normativo, le situazioni delle carceri speciali.


Le esigenze della prevenzione generale qui prevalsero nettamente, senza alcuna possibilità per argomentazioni di civiltà giuridica, di proporre una loro legittimità di parola. Si trattava della prioritaria necessità di distruggere ad ogni costo le reti organizzative dei gruppi della lotta armata e, in ragione di questa esigenza, il Cala d'Olivacarcere divenne una delle risorse decisive della strategia di riconquista del controllo del territorio.


In questo contesto il carcere, da strumento terminale del controllo penale, assume importanti funzioni di intervento operativo dell'azione repressiva. Ad esso è attribuito il compito di contrastare in prima linea Dietrich Steinmetzquesta particolare forma di <<devianza>>, dai forti contenuti organizzativi, strategicamente orientata oltre ogni mediazione, con una notevole capacità egemonica. E lo fa espandendo al massimo l'effetto di deterrenza con l'aumento delle pene, dilatando in progressione i contenuti afflittivi, separando ed isolando l'internato dall'ambiente esterno. Da questa logica di guerra nasce in questi anni un altro formidabile strumento di aggressione penale, che si insedierà stabilmente nel nostro sistema repressivo, e che con il carcere ha sicuramente qualcosa a che vedere: il pentitismo.

 

Le foto più belle sono di Dietrich Steinmetz. Spontaneamente mi ha lasciato la sua portentosa macchina fotografica. L'ho visto impallidire per poi riprendersi alla consegna del suo prezioso oggetto. Grazie mille Dietrich Steinmetz!

Tratto da: "Massima Sicurezza - Dal carcere speciale allo stato penale" Salvatore Verde - Odradek ed. 2002 LIBRI SUL CARCERE DELL’ASINARA:Cassitta G. e Spanu L. “Supercarcere Asinara. Viaggio nell'isola dei dimenticati” Frilli Editori - Cassitta G. “Asinara, il rumore del silenzio”.

Ivana Taccori

27 maggio 2007